SANTA GIULIA E SANTA GIULINA

Le cascine sorte per gestire la vasta proprietà del monastero di S. Giulia a Roncadelle sono due. La più antica, situata all’estremità ovest della via S. Bernardino, fu con ogni probabilità la prima sede locale dell’antica curtis e fu chiamata “Santa Giulina” (Sant’Ulgina in dialetto) dopo che venne costruita la seconda, la più ampia cascina di S. Giulia, sulla strada rurale di Travagliato.
Il territorio di Roncadelle, che faceva parte della curtis regia longobarda, fu donato con altre proprietà al monastero benedettino femminile di San Salvatore (poi chiamato Santa Giulia) dal re Desiderio. In particolare, nell’atto datato 4 ottobre 760 è documentata la cessione di 50 iugeri di terre arabili e 50 di selva (per un totale di circa 240 piò), in località “Runca ovvero Runco Novo” presso il Mella, che gli studiosi identificano con Roncadelle: “… Et cedimus in suprascripto monasterium terram iuges quinquaginta de brada, curte ducales, que est prope fluvio Mella, loco qui dicitur Runca, quod est Runco novo, et de silva que secum ipsa terra insimul tenet cedimus ibi iuges alias quinquaginta, ac damus ibi Gisolum et Radolum de Cuntignaca, qui porcos ipsius monasterii pascere debeant, cum rebus et familiis suis, et cedimus ibi Deosdedolum de Letrino, qui sit pecorarius, et donamus in ibi Ansteum de Quintiano, qui vacas ipsius monasterii pascat, cum casa et familia sua”. Insieme ai terreni, vennero quindi ceduti al monastero anche quattro provetti pastori: Gisolo e Radolo di Contegnaga (Flero), che dovevano pascolare i maiali del monastero e che venivano donati insieme alle loro cose e alle loro famiglie; il pecoraio Deodatolo da Lodrino; il vaccaro Ansteo da Quinzano con la sua casa e la sua famiglia.
Nell’inventario dei possedimenti di S. Giulia compilato intorno al 900, la curtis (v.) di Roncadelle risulta ancora sotto il nome di Torbole, il cui territorio (appartenente per lo più ai monaci di S. Faustino) si estendeva fino al Mella. Vi è riportata solo la parte dominicale: “In curte Turbulas casa I, terra arabilis ad seminandum modia LX, vinea ad anforas V, pratas ad carradas II et silva infructuosa; prebendarii infra curte V; de frumento modia III, segale modia XII, de ordeo modia VI: hoc sunt insimul modia XXI; boves IIII, porcos III, oves X, capras III, pullos XV.” Vi erano dunque una casa padronale, terreni arativi per 60 moggi di seminativo (corrispondenti a circa 90 piò), vigne per 5 anfore di vino, prati per 2 carri di foraggio, e una selva infruttuosa; i dipendenti diretti erano 5; poi vi erano scorte di frumento (3 moggi), segale (12 moggi), orzo (6 moggi); gli animali allevati nella corte erano 4 buoi (per i lavori agricoli), 3 maiali, 10 pecore, 3 capre e 15 polli. Alla pars massaricia era probabilmente destinato il successivo spazio di cm. 24 rimasto bianco sulla pergamena, essendo improbabile che la corte fosse gestita interamente dal monastero. Proprio da quel periodo andò diminuendo la quota di proprietà a conduzione diretta per dare maggior spazio a forme di locazione per lunghi periodi, dietro versamento di un canone annuo di affitto.
Dai documenti dei secoli successivi, soprattutto a partire dall’anno 1100, risultano diversi contratti agrari (v.) relativi a terreni situati in Runkethellis, ma molte pergamene sono andate disperse, per cui risulta impossibile quantificare la consistenza delle proprietà locali di S. Giulia nel Medioevo. Sappiamo però che, nel Basso Medioevo, vari terreni locali divennero “arativi”, “prativi” e “vitati”.
La presenza dei monaci di Torbole sul territorio locale si fece sentire a lungo in quel periodo, quando disponevano dell’acqua del Mandolossa e persino dell’Arenoldo (o Renolda), che sembra sia stato canalizzato per opera loro. Il confine tra Torbole e Roncadelle venne definito il 23 maggio 1248, quando l’abate Gielmo del monastero di S. Faustino e la badessa Tutben Confalonieri di S. Giulia sottoscrissero un accordo, anche tramite uno scambio di terre, relativamente alla campanea sicca (o “Casapagana”) a sud-ovest dell’attuale cascinale di S. Giulia. L’accordo venne rimarcato con l’apposizione di tre “termini” in pietra con incisa la sigla S.G. sulla facciata settentrionale e S.F. su quella meridionale.
In quel periodo la possessione locale di S. Giulia venne sottoposta ad alcune decurtazioni, in parte per cessione di terreni ai milites o a collaboratori del monastero, in parte per usurpazioni subite, e anche qualche danneggiamento, tanto che nel 1298 il Comune di Brescia la mise sotto la custodia delle Chiusure (v.) cittadine diffidando chiunque dall’arrecarvi danno.
La sede gestionale della curtis di Roncadelle venne meglio documentata dall’inizio del ‘300.
In una pergamena del 1315, relativa ad un’investitura, i beni di Roncadelle vennero così elencati: “domum magnam, alias domos, fenille et molendinum, decimas, ficta, honores pascavollum et ius pascolandi et adaquandi” e si stabiliva che, in caso di danni di guerra, venissero detratte dal fitto della concessione le spese sostenute “in abtando, redificando et fortificando predictas domos, curtivum, pontem, fenille et molendinum”. Vi si deduce quindi che la corte (poi chiamata di Santa Giulina) era composta da un grande edificio comprendente più case di abitazione, un cortivo, un fienile, un mulino e un ponte. Mentre una pergamena del 15 maggio 1306 attesta che nello stesso sito vi era una chiesa di S. Giulia (v.).
La descrizione, sia pure sommaria, del sito corrisponde a quella dei secoli seguenti. Anche se non ne conosciamo la data di costruzione, questo antico “cortivo” (di circa mezzo ettaro) era sorto a debita distanza dal Mella, ma vicino alla più tranquilla roggia Mandolossa, una cui derivazione attivava il mulino (v.). La cascina, che doveva servire da alloggio per i dipendenti del monastero, da ricovero per gli animali e da deposito per i prodotti agricoli, venne presumibilmente costruita in ciottoli e argilla (materiali che abbondavano nella zona) per fornire maggiore sicurezza e protezione e costituì a lungo il centro organizzativo della vasta proprietà agricola che il monastero aveva a Roncadelle. Possiamo supporre che vi risiedessero temporaneamente anche i rappresentanti del monastero, come quel frate Alberto e quel Pasino da Bergamo che nel 1298 sono citati come “custodi” ufficiali dei beni di S. Giulia a Roncadelle; mons. Paolo Guerrini accenna anche ad un “palatiolo” che le monache avrebbero utilizzato a Roncadelle come luogo di villeggiatura.
Una strada rurale fiancheggiava la cascina in senso longitudinale collegandola direttamente alle due importanti vie di comunicazione della zona: quella per Palazzolo a nord e quella per gli Orzi a sud, dove il monastero gestiva un hospitium (v.) con finalità caritativo-assistenziali; mentre un’altra strada rurale portava ad ovest, verso Travagliato. La chiesa di S. Giulia, ora trasformata in abitazioni private, era situata sull’incrocio tra le due strade.
I terreni situati ad ovest erano quelli più produttivi, destinati all’agricoltura sin dall’epoca della centuriazione (v.), mentre quelli ad est, meno produttivi e in gran parte boschivi, erano rimasti a lungo incolti e fu proprio il monastero a incentivarne la graduale messa a coltura ritagliandone “braide” e piccoli “ronchi”, che avevano dato il nome (v.) a Roncadelle.
Nel ‘300 e ‘400 i terreni venivano dati in locazione settennale o novennale. Tra i diversi affittuari compaiono Astolfo Marinoni (1315), vari Travagliatesi (1350), il nob. Federico Gonzaga (1367), Sansone Porcellaga (1415). La voce popolare che ha tramandato la notizia di una sosta di Bernardino da Siena (v.) a Roncadelle, intorno al 1422, potrebbe avere un fondamento storico, tenendo conto della presenza di strutture del monastero di S. Giulia (nonché di alcuni frati francescani) nella zona, ma è forse più probabile una sosta nel nuovo castello dei Porcellaga (v.), con i quali il santo predicatore intratteneva buoni rapporti.
Quando venne realizzata la seriola Castrina, che prendeva l’acqua dal fiume Oglio facendola arrivare fino a Roncadelle, il monastero nel 1521 ne acquistò l’utilizzo per tre giorni alla settimana da Bertolino Castrino per irrigare i propri possedimenti locali. Così, oltre alle acque del Mandolossa, della Renolda, del Gandovere e della Mainetta, Santa Giulia poté utilizzare anche le acque dell’Oglio.
Nel corso del ‘500 il monastero acquistò nuovi terreni a Roncadelle, come il possedimento Averoldi (1539) e le proprietà dell’Ospedale Maggiore di Brescia (1591).
Nell’estimo del 1646 i terreni di Roncadelle appartenenti al monastero assommavano a circa 600 piò. Il nucleo di Santa Giulina venne descritto come “un locho da massaro et malgese de trati quindeci et case per uso del fattore, stanze otto teranee, due superiori, due solari, ara, horti, coherent a mattina e mezodì strada, a sera la seriola del molino, a monte il brolo”. Era valutato 1.300 lire. Ma, a gestire i terreni della campagna verso Travagliato vi era la nuova cascina di S. Giulia, che venne descritta come “cortivo per alloggio di tre massari et malghese, con ara, horti et fenili et stalle con suoi portici avanti” e valutata 1.600 lire. Questo primo vasto fabbricato, edificato anche con vari elementi architettonici in marmo, era destinato ad ampliarsi verso ovest con aggiunte successive.
Tra gli affittuari dei terreni di Santa Giulia nel ‘600 ci furono Cipriano Bonometti (1638), che venne fatto uccidere da Pietro Aurelio Porcellaga perché si era rifiutato di mandare le figlie alle feste in castello, i nobili Lorenzo Savoldi e Piero Marcandoni (1649), nonché Andrea Castrino (1674).
Nei primi anni del ‘700, quando gli eserciti della guerra di successione spagnola si affrontavano sul territorio bresciano, le proprietà del monastero subirono vari danneggiamenti, elencati nella richiesta di risarcimento presentata alle autorità venete. Nel corso del ‘700 i terreni venivano dati in locazione generalmente per sei anni. Tra gli affittuari troviamo Giampaolo Merighetti, Antonio Berardi, Giacomo e Gian Maria Tonelli, Stefano Quaresmini, f.lli Zanardelli, Paolo Spagnoli, Francesco e f.lli Spagnoli, Giuseppe Quaresmini, Pietro Torri, Silvestro e Gaetano Tonelli, Pietro Inselvini, fratelli Vincenzo ed Orazio Dusi, G.Battista Codenotti, f.lli Andrea e Filastro Conti, Andrea Quaresmini, Giovanni Tonelli, Angelo Bino. Da ricordare anche gli affittuari Domenico Andreolino e Giovanni Ogna, che nel 1754 si impegnarono a realizzare la nuova chiesa di S. Giulia (v.) presso il cascinale.
Nel 1785 la badessa Eleonora Maggi fece costruire nuove abitazioni per i contadini che lavoravano la campagna del monastero, come ricorda una lapide in pietra apposta sulla muratura esterna.
In quel periodo i possedimenti del monastero a Roncadelle assommavano a 810 piò di terreni, la cui gestione era suddivisa tra S. Giulina (220 piò, in parte situati ad est del Mandolossa) e S. Giulia (590 piò, detti “la Campagna”). La maggior parte dei campi era irrigata da due bocche separate della seriola Castrina. I terreni arativi erano 596 piò (di cui 278 anche “vignati”) e i prati erano 214 piò.
Ma la ormai millenaria presenza del monastero di S. Giulia a Roncadelle stava per finire. A seguito delle leggi rivoluzionarie giacobine, nel 1798 il monastero venne infatti soppresso e tutti i suoi beni furono confiscati e messi all’incanto. I commissari di governo della Repubblica Cisalpina smembrarono l’enorme massa di pergamene dell’archivio di S. Giulia e le suddivisero (in modo approssimativo) per assegnare agli acquirenti degli immobili la relativa documentazione. Il maggior acquirente dei beni di S. Giulia fu Ludovico Franzini (1752-1800), discendente da un’antica dinastia di costruttori d’armi di Gardone Val Trompia, che si aggiudicò (oltre agli stabili di Flero e della Volta) anche tutti i possedimenti di Roncadelle, compensando l’acquisto con importanti forniture di fucili al governo cisalpino. La relativa documentazione storica (904 pergamene relative al periodo 1043-1590) fu conservata per alcuni anni proprio nello stabile di Santa Giulina e andò poi a costituire l’archivio Bettoni-Lechi a Brescia, mentre altre pergamene del monastero riguardanti Roncadelle finirono in vari archivi pubblici (Archivi di Stato di Milano e di Brescia, Biblioteca Queriniana, Archivio Vaticano, Congregazione di Carità di Cremona, ecc.) o andarono distrutte: mons. Paolo Guerrini riteneva che le pergamene affidate agli uffici governativi di Finanza “servirono per molti anni ad accendere stufe”.
Quando Roncadelle divenne Comune (v.), il suo territorio comprese tutti i possedimenti locali di Santa Giulia; venne dichiarata di proprietà comunale, insieme alle principali vie interne del paese, anche la strada rurale per Travagliato, nonostante qualche resistenza da parte dei residenti del cascinale di Santa Giulia, che chiudevano la strada ogni volta che il transito di estranei creava loro qualche problema. D’altra parte, nelle maggiori cascine locali si erano formate piccole comunità, dotate del necessario per vivere e anche di una propria cappella e tendevano a rivendicare una certa autonomia gestionale potendo configurarsi come veri e propri villaggi.
Nei primi anni dell’Ottocento, Santa Giulina con tutte le sue pertinenze (mulino, caseggiati da massari, cascina da malghese e 221 piò di terreni) fu venduta al prezzo di lire 79.058,25 ai Guaineri (v.), che in quel periodo stavano ampliando i propri possedimenti di Roncadelle acquistando nel 1816 anche il castello (v.) con i relativi terreni; mentre Santa Giulia (con i suoi 500 piò di terreni) passò in eredità a Clateo Graziadio Franzini (1787-1858) e poi a sua figlia Clara (1836-1922), che nel 1854 sposando il conte Lodovico Bettoni Cazzago (1829-1901) poté fregiarsi del titolo di contessa. Fu a lei che l’Amministrazione comunale, nella seconda metà dell’Ottocento, indirizzò alcuni richiami affinché facesse rimuovere i depositi di concime a lato della strada di S. Giulia, che causavano l’inquinamento (v.) delle acque nella zona, e provvedesse a realizzare un pozzo tubolare in ferro per fermare l’epidemia di febbre tifoide, che si era diffusa tra la popolazione.
La vasta azienda agricola di S. Giulia, che all’inizio del ‘900 era gestita da Giovanni e G. Battista Marchetti, poi da Giulio Dolci e da Carlo e Luigi Chiari, venne acquistata in gran parte dal cav. Cesare Guzzi e affidata ai fratelli Falappi e ai Camplani; mentre il resto della proprietà passò in proprietà al rag. Giuseppe Crescenti e ad altri. Vi si coltivava frumento, granoturco e vite.
In quel periodo la transumanza andava riducendosi e alcune famiglie di tradizione malghese decisero di stabilirsi a Roncadelle. Tra questi ci fu Francesco Tomasoni, originario di Castione della Presolana, che nei primi anni ‘30 svernava con il fratello Antonio ad Antezzate (v.) e che nel 1936 prese in affitto la cascina di S. Giulina con i relativi terreni reinventandosi “contadino-fittavolo”, pur mantenendo la propria mandria; morto prematuramente per un tragico incidente sulla vicina autostrada nella nebbiosa sera di S. Stefano del 1937, il Tomasoni fu sostituito dai figli, che nel 1958 acquistarono la proprietà dal nob. Luigi Guaineri.
Nel 1938 la proprietà di Santa Giulia era gestita da Luigi e Giuseppe Camplani, Lorenzo Falappi, Pietro Franceschini e dai f.lli Pedersini di Angelo, che dichiararono una produzione complessiva di granoturco di 374 quintali; mentre i f.lli Tomasoni a Santa Giulina ne producevano 90.
Nel 1941 vennero censiti 151 bovini nelle stalle di Santa Giulia e 85 nella cascina di S. Giulina. Erano le aziende locali con i maggiori allevamenti (v.), dopo Antezzate.
Nel 1946 la proprietà Guzzi (83,27 ettari) era gestita da 5 affittuali: Lorenzo e Giacomo Falappi, Giovanni, Giuseppe e Luigi Camplani; vi lavoravano 25 dipendenti (con 116 persone a carico); sui 60 ettari di seminativi, 22 erano coltivati a grano, con una produzione dichiarata di appena 387 quintali, e i 13 ettari coltivati a mais producevano circa 500 quintali.
Nella proprietà Crescenti (27,67 ettari) vi erano 7 dipendenti (con 41 persone a carico) e due mezzadri; gli 8 ettari coltivati a grano producevano 212 quintali annui, mentre i 5 coltivati a mais avevano una produzione di oltre 150 quintali.
La proprietà di Santa Giulina (50,78 ettari), gestita da Guerino Tomasoni, aveva 12 dipendenti (con 74 persone a carico); dei 41,34 ettari di seminativi, 10 e mezzo erano coltivati a grano e producevano 285 quintali di grano, mentre i 10 e mezzo coltivati a mais rendevano 340 quintali.
Negli anni seguenti gli addetti all’agricoltura (v.) andarono diminuendo. Con la meccanizzazione e le nuove tecniche agronomiche, l’agricoltura aveva sempre meno bisogno di manodopera e i giovani delle famiglie contadine venivano attratti da altre professioni. Ma i due storici possedimenti sono rimasti tra le maggiori aziende agricole locali. Nel 1970 S. Giulia (126 ettari complessivi) era gestita da vari conduttori: f,lli Falappi, f.lli Faustini, Giuseppe e Francesco Camplani, Firmo e Giuseppe Camplani, Enzo Crescenti, i Quaranta e i Danesi; mentre la proprietà di S. Giulina comprendeva 80 ettari e la cascina era suddivisa tra i f.lli Tomasoni, i f.lli Zucchelli e l’ex mugnaio Giacomo Zanotti.
Se il territorio ad est del Mandolossa è stato gradualmente sottratto alla destinazione agricola per essere urbanizzato, quello ad ovest è riuscito a mantenere la sua antica funzione e continua ad offrire un essenziale paesaggio (v.) agrario e naturale; mentre i due nuclei rurali di Santa Giulia e Santa Giulina, insieme alle altre cascine storiche di Roncadelle, costituiscono un prezioso patrimonio identitario da tutelare e valorizzare, perché il mondo intorno a noi è anche dentro di noi. Bene ha fatto quindi l’Amministrazione comunale ad assumere l’impegno di salvaguardare il territorio da ulteriori consumi speculativi e di valorizzare il patrimonio storico e paesaggistico esistente. La comunità locale può così dare continuità ad una storia millenaria conservando la propria identità e il proprio benessere.