ASSISTENZA
L’assistenza sociale e l’assistenza sanitaria, che oggi si cerca di tener distinte, sono state spesso intrecciate nella storia umana, come anche l’assistenza e la beneficenza, chiamate a lungo opere di carità cristiana. Si sono fronteggiate così diverse situazioni di povertà, di malattia, di emarginazione, di disagio; finché non se ne fecero carico le istituzioni pubbliche, che hanno però ancora bisogno dell’apporto essenziale di persone e associazioni animate da un volontario spirito di solidarietà.
Lungo tutto il Medioevo la Chiesa, che predicava con insistenza la pratica della carità, è stata la vera protagonista delle politiche assistenziali, realizzando una capillare presenza di istituzioni e opere per rispondere ai bisogni dei poveri e dei malati, oltre che degli stranieri.
A Roncadelle le poche centinaia di abitanti avevano come punti di riferimento assistenziale il monastero di S. Giulia e le pie istituzioni cittadine. Sul territorio locale era sorto un Hospitium (v.) appartenente alle monache di S. Giulia, nei pressi del guado del Mella, con finalità assistenziali. Oltre a fornire vitto e alloggio ai viandanti, offriva cura e assistenza a coloro che vi giungevano ammalati.
Ma sorsero in città e nel contado anche piccole strutture ospedaliere, che inizialmente erano ospizi per il ricovero dei poveri, degli ammalati e dei pellegrini e che andarono poi definendo le proprie funzioni nell’assistenza diretta agli infermi, “acuti” e “incurabili” (cronici), anche se spesso non potevano fornire cure mediche efficaci, ma solo conforto religioso. Erano gestiti da pochi “fratelli” o “sorelle”, che vivevano in comune, alle dipendenze di un ministro responsabile. Tra questi, nell’ospedale di S. Faustino Maggiore di Brescia nel 1348 vi era una suor Giovanna di Roncadelle; e Pecino Porcellaga fu un importante benefattore dell’ospedale in quel periodo.
L’ospedale più vicino a Roncadelle era quello di S. Maria del Serpente (ad cerrum pictum) presso la sponda sinistra del Mella, originariamente ospizio di S. Giulia e poi gestito dai Domenicani dal 1230 fino al 1447, quando l’Ospedale Maggiore di Brescia assorbì i beni e le funzioni di tutti gli ospedali allora esistenti in città e dintorni. Nel 1521 venne aperto in città anche l’Ospedale degli Incurabili, divenuto poi l’Ospedale delle Donne. Contro le periodiche epidemie (v.) e pestilenze si poteva fare allora ben poco: non restava che l’assistenza religiosa e il lazzaretto di S. Bartolomeo.
Nella prima metà del ‘500, con l’affermarsi dell’autonomia parrocchiale, sorsero anche a Roncadelle, sotto l’impulso di sacerdoti e benefattori, forme di carità organizzata nell’azione di organismi laici, come la confraternita del Ss. Sacramento, che aveva finalità anche assistenziali. Le confraternite (v.) ricevevano legati ereditari, a volte consistenti, che permettevano di prestare aiuto e assistenza a vari bisognosi locali.
Per fronteggiare la povertà indesiderata, che aumentava durante le ricorrenti crisi di sussistenza, vennero fondati in città il Monte di Pietà (1489) con funzioni sia bancarie che caritativo-assistenziali e il Monte delle Biade; e, nel contado, i Monti frumentari, adatti a svolgere una funzione calmieratrice dei prezzi dei cereali da semina e da alimentazione, che in periodi di guerra o di carestia costringeva la popolazione alla fame o a ricorrere al prestito ad usura. Tra il 1535 e il 1538 il card. Corner, vescovo di Brescia, ordinò la fusione dei vari Consorzi parrocchiali nella Congrega della Carità Apostolica, alla quale vennero concesse particolari indulgenze da papa Gregorio XIII nel 1575. In quel periodo sorsero anche istituti di ricovero o Pii luoghi per gli orfani, le zitelle, le ex prostitute, i malati di mente.
L’assistenza e la beneficenza erano animate da uno spirito religioso; e religiosi erano gli obiettivi del loro intervento. La povertà era intesa come “castigo”, ma anche come occasione di redenzione, sia per i poveri che per i ricchi. Grazie alla predicazione dei Francescani e dei Domenicani, il povero era visto come l’immagine di Cristo ed un mezzo per la salvezza dell’anima. In molte disposizioni testamentarie comparvero numerosi lasciti e legati “pro substentatione et alimentis pauperum et miserabilium”.
Anche i Porcellaga (v.) destinarono una parte non trascurabile delle loro risorse materiali a favore degli ordini monastici, delle chiese e dei bisognosi. La beneficenza che, secondo una diffusa convinzione, permetteva di acquistare meriti spirituali, tendeva comunque (più o meno consapevolmente) a ristabilire un ordine violato e ad appianare situazioni di disagio troppo stridenti. Significativo appare il testamento di Sansone Porcellaga del 1626, che dispose venissero dispensate ai poveri cento some di miglio “per scarico della sua coscienza, sì in uccellar come altramente, dandone massime bona parte alli poveri di Roncadelli et anco a quelli massari et donceli di reverendi padri di Torboli”. Ai poveri “vergognosi”, che non potevano percepire redditi per mancanza di lavoro o per menomazioni fisiche, i Porcellaga devolvevano periodicamente del denaro o, più frequentemente, del miglio. Alle ragazze prive di mezzi destinavano abiti o somme di denaro affinché potessero sposarsi con una dote dignitosa. Pur essendo una risposta inadeguata agli squilibri di una società che non intendeva mettere in discussione disparità e privilegi, la beneficenza riuscì ad attenuare le tensioni sociali ed a garantire un servizio di assistenza a molti bisognosi.
In seguito al Concilio di Trento il parroco, oltre a conservare la sua centralità pastorale, divenne il fulcro della struttura caritativa di ogni parrocchia rurale, grazie alla sua supervisione della gestione amministrativa delle confraternite ed al controllo dei lasciti testamentari “ad pias causas”. A lui venne inoltre delegata la responsabilità di segnalare i nomi dei poveri e la loro condizione, attraverso apposite fedi, che garantissero anche del loro comportamento morale.
Quando le condizioni sociali e sanitarie della popolazione si aggravarono ed aumentò il numero dei bisognosi, le istituzioni religiose divennero insufficienti ed intervennero in campo assistenziale i pubblici poteri. Dalle autorità civili il povero era visto soprattutto come un soggetto pericoloso, portatore di contagi o perturbatore dell’ordine pubblico; per cui andava isolato, emarginato, nascosto. Se prima la carità civile ai miserabili costituiva un atto di solidarietà pubblica e misericordiosa, dalla metà del ‘600 l’elemosina divenne selettiva, elargita solo ai poveri “honesti”; gli altri, i vagabondi, gli oziosi, i mendicanti di mestiere venivano allontanati con la forza o internati in organismi che li mantenevano con i proventi del loro lavoro “forzato”.
Anche il parto, che avveniva generalmente in casa, presentava dei seri rischi, soprattutto a causa delle frequenti infezioni. L’assistenza al parto era garantita dalle levatrici, che a Roncadelle erano tre a fine ‘600 (Maria Chittoglio, Anna del Re, Isabetta Scala) e addirittura quattro nel ‘700.
Nel ‘700 il numero delle persone permanentemente assistite a Brescia ammontava a circa il 3% della popolazione, considerando che non poche provenivano dal contado e molte vi trovavano una sistemazione a lungo ricercata più che subita. La Casa di Dio, creata nel 1577 per ospitare poveri e mendicanti, limitò il ricovero ai soli “poveri inabili, impotenti, storpi e ciechi” della città, con più di 12 anni di età. La nobiltà locale soccorreva ancora direttamente molti poveri con elemosine, assistenza a domicilio e protezione.
Verso la fine del ‘700, a fronte di analisi sociali sempre più approfondite sulle cause della perdurante e diffusa miseria materiale nella popolazione, le autorità civili più illuminate cercarono di precisare meglio gli scopi delle istituzioni assistenziali esistenti, cercando di mettere ordine nella gestione economica dei fondi patrimoniali e di scorporare dall’assistenza le finalità religiose. Questa tendenza raggiunse l’acme nel periodo napoleonico, quando molte iniziative assistenziali religiose vennero soppresse ed i loro patrimoni conglobati (non sempre) in istituzioni pubbliche finalizzate al soccorso dei bisognosi. Nacque allora il concetto di “dovere” da parte delle autorità civili di assistere ed aiutare i ceti più deboli ed emarginati, concetto attuato poi dalle politiche sociali dei governi.
E venne istituita in ogni Comune una Congregazione di Carità (con decreto del 21 dicembre 1807) con lo scopo di amministrare i beni e le attività delle opere pie per l’assistenza ai poveri, agli orfani e ai minorenni abbandonati, oltre che ai ciechi e ai sordomuti poveri. La Congregazione o “Congrega” (come veniva chiamata) era gestita da un Consiglio d’amministrazione composto da probe persone; aveva autonomia d’azione e capacità giuridica di ricevere beni, sia per donazioni che per lasciti testamentari, nonché la rappresentanza legale dei poveri da loro assistiti. L’amministrazione austriaca diede poi alla Congregazione un regime semplificato, con un solo amministratore e un direttorio “elemosiniero” composto dal parroco e da un deputato comunale residente nel Comune.
Data la delicatezza dell’impegno di amministrare quantità non piccole di denaro pubblico con significativi margini di discrezionalità, si cercava di far ruotare gli amministratori; una legge sabauda del 1859 prevedeva l’obbligatorietà della rotazione annuale di un terzo dei membri della Congregazione ed ogni quattro anni la decadenza del presidente, che però poteva anche essere rieletto. Con la Legge 3 agosto 1862 n. 753 (“legge Rattazzi”) la Congregazione venne istituita in ogni Comune italiano con lo scopo di curare l’amministrazione dei beni destinati all’erogazione di sussidi e altri benefici per i poveri, nella cui categoria rientravano gli infermi inabili, i poveri nascosti o “vergognosi” e i fanciulli miserabili o da baliatico. I sussidi che venivano distribuiti consistevano in medicinali, generi alimentari, vestiario, assegni per baliatico a madri povere o spese di allattamento per bambini orfani. Inoltre la Congregazione pagava i ricoveri e le degenze ospedaliere dei concittadini più miserevoli e le rette mensili di quelli finiti in carcere o in orfanatrofio. A volte venivano concessi sussidi straordinari, in caso di epidemie, disgrazie o malattie accidentali, incendio o crollo della casa. I margini di discrezionalità favorivano qualche forma di clientelismo.
Nell’Ottocento vari interventi pubblici e privati hanno cercato di contenere il disagio sempre più marcato dei ceti subalterni, schiacciati dalla rottura di vecchi equilibri economico-produttivi e proletarizzati dai nuovi rapporti di produzione capitalistica. Pubblico e privato coesistevano in una rete di interventi assistenziali, ma mancava ancora ogni forma di previdenza sociale, già prefigurata nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino nel 1793.
Importanti diventarono a Brescia le nuove fondazioni religiose, da quella pavoniana a quelle femminili impegnate in campo educativo e nell’assistenza ospedaliera (basti citare le Ancelle della Carità), mentre le parrocchie esprimevano grandi figure caritative, di ecclesiastici e laici.
Con la Legge 17 luglio 1890 n. 6972 (“legge Crispi”) le opere pie diventarono I.P.A.B. (istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) e venne istituita la Giunta Provinciale Amministrativa, presieduta dal prefetto, con il compito di controllare rigidamente l’operato delle Congregazioni per scoraggiare abusi o negligenze. Se da una parte lo Stato cercò di statualizzare le funzioni di assistenza e beneficenza, dall’altro cercò una convivenza con le associazioni ecclesiastiche che gestivano tali funzioni, sottoponendole però al controllo statale.
A Roncadelle la Congregazione di Carità fu presieduta da Faustino Fanti (figlio dell’ex sindaco) dal 1870 al 1878, poi da Francesco Vecchi, da Luigi Fantoni dal 1895 e da Pietro Bignotti dal 1897. In occasione della Festa dello Statuto (prima domenica di giugno) il Comune dava un contributo ad alcune persone “povere e inferme”. Nel 1887 il Comune sospese i sussidi a cinque “miserabili” locali, che vennero invitati a rivolgersi alla Congregazione, che aveva ricevuto 500 lire dalla Cassa di Risparmio di Milano. Diversi lavoratori locali costituirono nel 1889 una Società Operaia cattolica di Mutuo Soccorso, sostenuta dal parroco don Giulio Tadini, per lenire situazioni di disagio economico-sociale dovute a malattie, infortuni, disoccupazione. Le idee di riscatto sociale e di redenzione si unirono nell’attenzione alla condizione umana, che le forze vive della realtà locale seppero esprimere.
Il Comune aveva alle proprie dipendenze un medico condotto ed una levatrice per fornire la necessaria assistenza sanitaria ai malati e alle partorienti. La figura del medico condotto venne formalmente istituita per tutti i Comuni italiani nel 1888 (legge Crispi-Pagliani) con l’incarico di assistere gratuitamente i poveri e di diffondere l’igiene pubblica, ma era già stata adottata da molti Comuni, tra cui quello di Roncadelle, che aveva assunto come medico condotto il dottor Pietro Cismondi nel 1861; dopo la sua tragica scomparsa nel 1885, venne sostituito dal dott. Rinaldo Amighini e nel 1897 dal dott. Nicola Volpi e poi, dal 1901, dal dott. Vincenzo Treccani Chinelli. Il Comune forniva ogni anno al medico condotto la lista degli indigenti e gli versava 5 lire per ciascuno, mentre gli altri assistiti pagavano un compenso lasciato alla discrezionalità del medico. La figura del medico condotto, che forniva un’assistenza medica continua (anche notturna e nei giorni festivi) è stata fondamentale nel portare la medicina a livello popolare ed ha prefigurato un modello di rapporto medico-paziente basato sulla fiducia e sulla disponibilità. Le levatrici comunali più durature di quel periodo furono Luigia Torregiani Scaroni (dal 1857 al 1888) e Martina Guatta Belletti (dal 1893 al 1930).
Nel 1903, grazie ad un legato testamentario della sig.ra Lucia Mussetti Cismondi (1829-1901), venne aperto a Roncadelle l’Asilo infantile (v.), che era visto ancora come istituzione assistenziale, basato principalmente sulla beneficenza, anche se si stava tramutando in strumento educativo. La sua funzione assistenziale era confermata dall’iscrizione di molti bambini poveri. L’Asilo era finanziato, oltre che da sussidi comunali e statali, anche da un Comitato di azionisti benestanti locali, da alcuni lasciti privati, dal Fondo di Beneficenza della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde.
Nel 1906 vennero istituite le “cucine economiche”, con il compito di erogare minestre gratuite ai poveri del paese, ai bambini poveri dell’asilo e delle scuole, nonché ai pellagrosi. E la cucina dell’Asilo si attivò per fornire minestre e pasti economici ai bisognosi locali. Quando l’Italia entrò in guerra nel 1915, molte famiglie di richiamati alle armi e di caduti rimasero senza sostentamento e venne istituito in paese un Comitato di assistenza. Anche all’Asilo venne chiesto un impegno straordinario: provvedere alla custodia e alla refezione di bambini e fanciulli di famiglie di richiamati.
Con l’instaurazione del regime fascista, le Congregazioni di Carità vennero gradualmente spogliate della propria autonomia con l’inserimento di nomine prefettizie. E venne istituita l’O.N.M.I. (opera nazionale maternità e infanzia) per coordinare “tutte le istituzioni assistenziali aventi per fine la tutela e la difesa della madre e del fanciullo”, che cominciò ad operare a Brescia nel 1927 e a Roncadelle nei primi anni ’30, dopo che venne costituito l’apposito Comitato, composto da Paolo Dusi (podestà), Elisabetta Dolci Pezzana (delegata Fascio femminile), Angelo Comini (segretario politico del Fascio), Giuseppe Vecchi (giudice conciliatore), Vincenzo Treccani (ufficiale sanitario), Francesco Comini (presidente Congregazione di Carità), Antonio Malossi (maestro elementare) e don Giacomo Contessa (parroco). All’O.N.M.I. vennero affidati molti compiti, ma le finalità pratiche erano la protezione igienica della maternità anche tramite la medicalizzazione del parto e la difesa morale e materiale di bambini e ragazzi poveri o esposti all’abbandono. Altra finalità sottintesa era la battaglia demografica per una rapida crescita quantitativa della popolazione. Le donne che si rivolgevano all’O.N.M.I. erano generalmente le gestanti e le madri nubili o vedove.
Localmente, l’attenzione dell’O.N.M.I. si rivolse soprattutto all’assistenza dei bambini poveri, delle gestanti e delle nutrici bisognose. Nel 1933 venne segnalata all’ente la presenza a Roncadelle di numerosi bambini poveri, una quindicina dei quali era stata ammessa gratuitamente all’Asilo. Le cause del diffuso disagio sociale vennero attribuite al “forte movimento immigratorio, causato per lo più da operai che, occupati presso industrie cittadine, sono costretti per la contrazione dei salari ad escogitare tutte le economie”. Le sovvenzioni dell’O.N.M.I. riguardarono le refezioni gratuite a 25 bambini nel 1933 ed a 40 bambini nel 1934 su circa 140 iscritti.
Nel 1937 le Congregazioni di Carità vennero soppresse e sostituite dagli Enti Comunali di Assistenza (E.C.A.) aventi lo scopo di assistere gli individui e le famiglie in condizioni di particolare necessità. L’E.C.A. contribuiva all’assistenza di poveri presso ospedali, ricoveri, istituti assistenziali e orfanatrofi; all’invio di bambini bisognosi poveri alle colonie marine e montane; sosteneva con sussidi in denaro i patronati scolastici; concorreva in varie forme ai bisogni dei disoccupati, ecc. L’ente era amministrato da un comitato composto dal podestà locale, un rappresentante del Fascio di combattimento, la segretaria del Fascio femminile e rappresentanti delle associazioni sindacali.
Durante la seconda guerra mondiale, che durò più del previsto e causò enormi sacrifici, razionamenti alimentari, diffusa miseria economica e morale, la comunità locale attuò vari interventi di assistenza straordinaria alle famiglie dei combattenti e degli sfollati, i cui bambini poterono usufruire anche dei locali dell’Asilo e delle relative refezioni.
Dopo la caduta del regime fascista, la situazione economica e sociale del paese era molto pesante: lo spettro della disoccupazione dominava ogni aspetto della vita locale, mentre i prezzi dei generi di prima necessità continuavano a salire. Ma, con spirito di intraprendenza e grandi sacrifici, si attuò la ricostruzione. L’assistenza locale era demandata soprattutto all’E.C.A. che, pur nella scarsità di mezzi a disposizione, cercò di andare incontro alle varie richieste e necessità manifestate dai cittadini, provvedendo anche all’assistenza post-bellica, al soccorso invernale, all’assistenza degli invalidi civili non vedenti, ecc. L’O.N.M.I. provvedeva, oltre che alle refezioni dei bambini bisognosi all’Asilo, anche a quelle delle gestanti (tra il sesto e il nono mese) e delle nutrici (fino al non mese di vita del neonato). Nel 1950 venne aperto un ambulatorio medico in via Roma. Nuovi medici per la condotta di Roncadelle e Castelmella erano i dottori Vincenzo Ribaudo (1903-75) e Giulio Navoni (1922-2021).
Nel 1974 venne aperta in via S. Bernardino una Casa di Riposo (v.) grazie ad un legato testamentario della signora Maria Berardi Manzoni (1881-1964), che destinò la propria residenza di Roncadelle alla realizzazione di un “Ricovero per vecchi ed invalidi”. Nacque così una struttura assistenziale in grado di accogliere 50 anziani, per lo più non autosufficienti, ben inserita nella realtà locale e dotata di sempre maggiori servizi, da offrire anche agli esterni.
L’O.N.M.I. venne soppressa nel 1975 e gli E.C.A. nel 1977, nell’ambito delle riforme degli enti assistenziali. Le loro funzioni vennero trasferite relativamente alle Regioni e ai Comuni. La riforma del sistema sanitario si completò nel 1978 con la creazione delle Unità sanitarie locali (USL, poi ASL, poi ASST). Venne abolita la figura del medico condotto, sostituito dal medico di base (o di Medicina Generale), un libero professionista convenzionato con il SSN. Il servizio sanitario nazionale, rivolto a tutti in forma gratuita o quasi e affidato alle Regioni, mostra ancora qualche insufficienza (a volte perseguita) nei confronti dell’assistenza sanitaria privata, più costosa e spesso più efficiente, riproponendo così l’antico problema delle differenze sociali.
L’assistenza sociale, sancita dall’art. 38 della Costituzione repubblicana, è affidata in gran parte ai Comuni e viene svolta tramite i servizi sociali, che gestiscono diverse aree di assistenza (minori, handicap, anziani, indigenti, profughi, persone disagiate, ecc.).
Il Comune di Roncadelle, oltre a programmare e finanziare le aree di intervento nei piani socio-assistenziali, si avvale dell’opera di assistenti sociali, che raccolgono le varie richieste individuali e forniscono le relative risposte d’intervento (anche in base alle risorse disponibili), con la collaborazione del Distretto Socio Sanitario di base dell’A.S.L. Vengono quindi attuati interventi di sostegno al nucleo familiare (affidamento familiare, ecc.), agli adolescenti (centro di aggregazione, informagiovani, ecc.), ai portatori di handicap (inserimenti scolastici e lavoratici, assistenza domiciliare, trasporto presso strutture, ecc.), agli anziani (assistenza domiciliare integrata, servizio pasti e lavanderia, soggiorni climatici, centro sociale, attività ricreativo-culturali e sportive, ecc.), ma anche per chi è in stato di grave emarginazione o devianza e per l’integrazione degli extracomunitari.
Essenziale risulta nella realtà assistenziale locale anche l’apporto della parrocchia, da sempre al centro di molte opere di carità e impegnata nell’educazione alla solidarietà. Molteplici sono infatti le iniziative di carità promosse dalla comunità parrocchiale verso gli indigenti, gli immigrati, i portatori di handicap e, in genere, verso le vecchie e le nuove povertà. E tante sono le persone che, a titolo personale, assistono quotidianamente un parente od un amico o svolgono gratuitamente un servizio sociale, sopperendo così alle carenze del sistema assistenziale pubblico.
Per quanto riguarda il volontariato, un’importante iniziativa nell’ambito dell’assistenza sanitaria è stata la creazione del S.A.R.C. (v.) nel 1989, per iniziativa di Mario Vinati (1944-2024) con il Gruppo Alpini (v.) e l’A.V.I.S. (v.), ossia un servizio di trasporto in ambulanza di casi urgenti e di persone non autosufficienti per ricoveri, riabilitazioni, analisi cliniche, ecc.
Altra rilevante iniziativa di volontariato locale è il Centro di Ascolto “Casa Amica” (v.), che dal 2004 opera come Caritas parrocchiale, in spirito di accoglienza e rispetto, per fornire un sostegno a persone e famiglie che vivono momenti di difficoltà, di povertà (non solo economiche) o di esclusione sociale.
Non si può infatti disconoscere l’importante ruolo delle associazioni di volontariato, di cui è ricco il tessuto sociale locale, sempre pronte a collaborare con le istituzioni pubbliche e a dare un utile e sempre più competente contributo per migliorare i programmi politici e i piani socio-sanitari e assistenziali, per qualificare (e ridurre) la spesa nei bilanci comunali, per animare le realtà del territorio locale, senza fini di lucro e animate da un leale e profondo spirito di servizio alla comunità.