VILLA NUOVA

Venerdì, 1 Agosto, 2025 - 11:30
Ufficio: 
Cultura e Sport
Data pubblicazione: 
Venerdì, 1 Agosto, 2025
Area Tematica: 

La porzione di territorio a nord del centro urbano di Roncadelle, in gran parte occupata dai maggiori insediamenti produttivi e commerciali del paese, è scandita in settori più o meno regolari da grandi arterie stradali e ferroviarie, che appaiono come i decumani di una recente colonizzazione. La zona è dominata da due grandi centri commerciali integrati, circondati da un intricato sistema viario e da ampi parcheggi brulicanti di automobili e di indaffarati consumatori provenienti da varie località. Nella parte orientale di quest’area si distingue a malapena il vecchio agglomerato rurale di Villanuova, che ha una storia di almeno cinque secoli e che costituisce una parte fondamentale del patrimonio storico-artistico locale.

 

I Porcellaga

Nel Basso Medioevo si chiamava “Oneda”, in omaggio alla tradizionale presenza di ontani, il territorio nord-orientale di Roncadelle, un po’ brughiera sassosa e un po’ fitta boscaglia, che apparteneva alla campagna di Fiumicello e si estendeva tra la contrada Giardino ad ovest, il Fontanone a sud, il Mella ad est, la contrada del Castelletto e il Briò a nord. Inserito nelle Chiusure (v.) di Brescia, esso venne acquisito gradualmente dai Porcellaga (v.), che alla fine del ‘300 vi fecero transitare il vaso della loro seriola (v.). Dopo la concessione del 1410, con la quale Antonio e Marco Porcellaga ottennero dal Comune di Brescia la gestione perpetua dei “saletti” lungo la sponda destra del Mella, le proprietà dei signori di Roncadelle in quella zona si ampliarono e vennero gestite soprattutto da Astolfo (†1469) e poi dai suoi figli Gerolamo, Pietro e Antonio. 

Si trattava di terreni poco fertili, sassosi, molto permeabili, soggetti alle frequenti esondazioni del Mella (v.) e pertanto lasciati a lungo incolti. Nel corso del ‘400 cominciarono ad essere resi più produttivi per volontà dei proprietari. Si trattava di una scommessa certamente difficile, ma conforme allo spirito imprenditoriale dei Porcellaga, che potevano comunque contare sul paziente lavoro dei contadini e sulla preziosa presenza della seriola. Gradualmente liberati dalla vegetazione spontanea e dai sassi, i terreni vennero destinati in parte alle coltivazioni di cereali e di viti e in parte tenuti a maggese, mentre le aree boschive vennero conservate a lungo per la loro grande utilità. I terreni più difficili rimasero quelli posti lungo la sponda del fiume, che dovevano essere costantemente protetti da appositi argini e che venivano spesso definiti “gerra di Mella” nelle polizze d’estimo. I nomi di quei terreni, tramandati per secoli, risultano molto significativi: Bosco, Briò (Brione), “Strinate” (terre rese coltivabili dopo la combustione della vegetazione che le ricopriva), Breda, Pradello, Chiosetto, ecc.

Il nome di Villanuova si impose sul territorio nel primo ‘500, quando ne fu avviato il recupero sistematico ed i Porcellaga vi ebbero costruito un insediamento padronale. Sappiamo che, in quel periodo, per coordinare i lavori agricoli sulla sua proprietà (180 piò, gran parte dei quali a Villa Nuova), Gian Luigi Porcellaga, figlio di Pietro (†1516) ed erede di una parte dei terreni dello zio Gerolamo (†1515), si stabilì nel cortivo rurale divenuto la villa di campagna della famiglia. La costruzione, che ha dato il nome a Villa Nuova, doveva essere stata realizzata da suo padre Pietro, visto che Gian Luigi nel 1517, quando ne dichiarò il possesso, aveva solo 24 anni. 

Il cortivo era composto da un’abitazione padronale e una da massaro, un’aia, un orto e un giardino o brolo di circa un piò e mezzo. Era stato realizzato lungo la direttrice della seriola, al centro di una zona ancora in gran parte incolta, quasi a sottolineare il proposito dei proprietari di recuperare all’agricoltura tutto il territorio circostante. Situato ad una congrua distanza dal fiume (circa 500 m.), il cortivo rimaneva allagato solo in circostanze eccezionali, quando ad esempio cedevano gli argini del borghetto di S. Giacomo a nord.

Nel 1561 venne così descritto: “unum cortivum cum domibus et area simul se tenenti … cum tractibus tribus fenilium et stabulo pro patrono intus dictum portonum cum coquina et porcili et iure hauriendi aquas a puteo. Si trattava quindi di una semplice struttura rurale, cui si accedeva da un portone, dotata, oltre che delle stanze di abitazione, di un’aia, di tre “tratti” di fienile, di una stalla per il cavallo del padrone, di una cucina, del porcile e del pozzo. Immediatamente a nord scorreva una strada rurale, corrispondente all’attuale via Villanuova. Un portico a tre arcate collegava la casa con il cortile ubicato a sud. Delle primitive decorazioni sono rimasti solo due stemmi Porcellaga: uno affrescato su un pilastro del vecchio portico (ora conglobato nella parete di una stanza) e l’altro inciso sulla parete nord della vecchia cucina, al centro della quale c’era il camino.

In una camera da letto di quella casa, Gian Luigi Porcellaga il 24 marzo 1549 dettò il proprio testamento, mediante il quale lasciò tutte le sue proprietà ai due figli maschi, Ludovico e Gerolamo, con l’obbligo di trasmetterle ereditariamente ai discendenti maschi legittimi della famiglia, mentre alla figlia Susanna, in età da marito, destinò una dote di 4000 lire. Nel 1552 Susanna sposò il nobile Ercole Guaineri, una scelta destinata ad avere profonde ripercussioni anche sulla storia di Roncadelle. 

I due fratelli Porcellaga gestirono di comune accordo la proprietà paterna costruendovi un secondo cortivo, ad ovest del primo, che nel 1561 venne descritto come “unum cortivum cum corporibus duobus domorum et stabulo ac tractibus duobus fenulium cum area et horto a sero parte … et cum furno, polario et porcili existentibus penes dictas domos cum iure hauriendi aquas putei ac etiam una coquina existens intus portonum et contigua dictis duobus corporibus domorum”. Il secondo cortivo, cui si accedeva da un portone, era quindi composto da due corpi di case, una stalla e due tratti di fienile, con aia, orto, forno, pollaio, porcile e pozzo; inoltre, vi era una cucina contigua ai due corpi di case.

Le loro proprietà fondiarie, irrigate con 20 ore e mezza settimanali d’acqua della seriola Porcellaga, comprendevano la Breda di Sopra (34 piò) situata a nord dei due cortivi, la Breda di Sotto (17 piò) a sud del nuovo cortivo, il Briò (70 piò) dotato di cortivo per il colono, il Bosco (30 piò) presso il Mella, il Prato (14 piò) di Villanuova, oltre ad un appezzamento di terra (17 piò) ad Antezzate. Si trattava di terreni solo in parte coltivati.

Tra i piaceri della villa vi era certamente la caccia (v.), cui i nobili si dedicavano volentieri. I Porcellaga che, secondo l’agronomo Agostino Gallo, non avevano pari a Roncadelle, realizzarono a Villa Nuova un roccolo formato da “duoi belli e grandi arbori (cioè una quercia e un noce) lontani l’un dall’altro cavezzi venticinque, accompagnati col filo d’una lunga onizzata non molto alta”. Nei giorni dell’uccellagione, di prima mattina venivano tirate due lunghe reti e posti sugli alberi dei rametti invischiati, mentre nel fogliame venivano nascosti dei tordi ingabbiati con due civette; poi con uno “zufolo” il cacciatore imitava il verso dei tordi e dei merli finché gli uccelli di passaggio non cadevano nel tranello, impigliandosi nelle reti.

Quando Ludovico nel 1560 divenne sacerdote gesuita, i due fratelli Porcellaga decisero di suddividere il patrimonio di famiglia in due parti di ugual valore. A Gerolamo spettarono il vecchio cortivo e 104 piò di terreni a Villa Nuova, ossia la Breda di Sopra e il Briò, mentre a Ludovico toccarono il fondo di Antezzate, gli altri terreni di Villanuova ed il nuovo cortivo. Dovendo soggiornare costantemente in città per gli impegni pastorali legati alla sua nuova funzione, Ludovico concesse al fratello l’utilizzo della propria porzione di cortivo e di case, della colombaia, dell’orto e del brolo, chiedendogli però di versare la somma necessaria per ultimare la costruzione del nuovo cortivo.

Il 2 ottobre 1562, Gerolamo, ancora giovane ma evidentemente molto malato, fece testamento e, non avendo figli propri, dispose a favore della sorella Susanna e dei suoi figli una rendita vitalizia di 350 lire annue e lasciò tutti i beni al fratello sacerdote con l’obbligo di destinarli poi agli unici discendenti maschi del ramo di Astolfo, ossia a G. Battista Porcellaga e ai suoi figli G. Andrea e Marcantonio.

Padre Ludovico (†1610), che agì sempre con grande liberalità, dopo la morte di Gerolamo cedette gradualmente le proprietà di famiglia, in parte ai cugini Porcellaga e in parte al cognato Ercole Guaineri, accontentandosi di alcune rendite che dovevano durare fino alla sua morte.

Con l’estinzione del ramo dinastico di Pietro Porcellaga, i maggiori proprietari di Villa Nuova divennero i discendenti di Antonio Porcellaga, che trassero vantaggi economici dalla situazione, soprattutto nella transazione del 1569, con la quale ottennero da padre Ludovico donazioni di terreni e riduzioni di affitti e interessi, tanto da rinunciare ad ogni pretesa sull’eredità di Gerolamo. Essi possedevano a Villa Nuova e lungo il Mella circa 100 piò di terreni, ma essendo forse più interessati alla proprietà di Antezzate (v.), non vi costruirono una casa padronale fino all’inizio del ‘600, limitandosi a mantenervi un cortivo per il massaro.

Tra i numerosi figli di Gian Battista Porcellaga (†1566), ebbe discendenti maschi legittimi solo Marcantonio, alla cui morte i beni di Villa Nuova vennero ereditati dal figlio Gerolamo.

Fu quindi Gerolamo a farvi costruire un grande cortivo, che nel 1626 venne così descritto: “un casamento con corpi sette di stanze tra piccole e grandi, con stalla da malghese, con quatro tratti di finile, con ara circondata di muro, con orto et brolo seco tenenti per uso delli patroni”. Posto ad ovest degli altri due cortivi costruiti dai Porcellaga e poi ceduti ai Guaineri, esso dava sulla stessa strada rurale, in seguito denominata via Villanuova.

Nel 1626 i figli di Gerolamo Porcellaga possedevano a Villa Nuova e lungo il Mella circa 135 piò di terreni, dai quali dichiararono di ricavare ogni anno 35 some di frumento, 5 di segale, 20 di miglio, 10 carra di vino, 27 di fieno e 7 di legna.

Dopo la peste del 1630, che falcidiò drammaticamente la popolazione, titolare delle proprietà di Villa Nuova divenne il figlio sacerdote di Gerolamo, don Lodovico, che vi fece erigere la chiesetta di S. Rocco, per la quale nel 1643 commissionò la tela di S. Rocco e S. Sebastiano come ex voto.

La cascina venne da lui descritta nella polizza d’estimo del 1641 come “un casamento con corpi sette di stanze terranee, et una cappelletta incominciata per celebrarvi, et altre superiori, con stalle del malghese et quattro tratti di fenile sopra, con due altre stalette et un tratto di fenile sopra, insieme con due corpi di casine et due superiori per uso del malghese, con ara circondata di muro, con horto et brolo seco tenenti per uso delli patroni et delli massari insieme, qual tutto può essere piò cinque et mezzo”.

Pochi anni dopo il cortivo venne descritto come “un casamento da patrone di stanze sei teranee, altre superiori, tratti cinque di fenile, casina da malghese, ara, horto”. A don Lodovico apparteneva anche un “fenileto di tratti tre, di stanze due teranee, stalla, fenile, horto” nelle vicinanze.

I suoi possedimenti nella zona ammontavano a 121 piò di terreni, irrigati con 40 ore settimanali di acqua della seriola Porcellaga, che scorreva anche accanto alla cascina.

La scommessa dei Porcellaga a Villa Nuova si poteva considerare vinta, come conferma l’estimo generale del 1646: nonostante le periodiche alluvioni, il territorio era ormai cosparso di campi coltivati (a cereali e viti) e di prati; i boschi erano delimitati ad alcuni spazi adiacenti al fiume e vi erano persino terreni predisposti per la caccia.

Ma la dinastia dei Porcellaga, dopo aver raggiunto l’apice della propria potenza e ricchezza, era ormai avviata all’estinzione e venne sostituita a Villa Nuova dai Guaineri (v.), che vi si erano insediati stabilmente dalla metà del ‘500.

 

I Guaineri

Dopo il matrimonio con Susanna Porcellaga (1552) e dopo la morte prematura di Gerolamo Porcellaga (1562), Ercole Guaineri aveva ritenuto infatti opportuno spostare il suo interesse dalle proprietà di Cellatica a quelle di Roncadelle, dove egli possedeva alcuni terreni ereditati dallo zio Luigi Guaineri e dove si trovò a gestire parte del patrimonio dei Porcellaga.

Così, nel 1564 il Guaineri acquistò dal cognato circa 60 piò di terreni posti vicino al Mella: parte del Briò (25 piò), la “Strinata” (15 piò), un prato (5 piò) e un bosco (15 piò). Nel 1567 vendette alcuni terreni di Cellatica e dintorni per acquistare altri 44 piò a Villa Nuova con un cortivo dei Porcellaga. Nel 1568 egli potè dichiarare di possedere a Roncadelle 106 piò di “terra aratora et vitata et prativa et parte boschiva” e “tre casamenti per il patron et massari cum doi piò de brolo et orti”. Da essi ricavava annualmente 30 some di “grosso”, 10 di “minuto”, 4 di legumi, 20 carra di fieno, 8 di legna, 15 di vino e 4 zerle di “vernazza”.

Il valore dei beni acquistati venne saldato solo in parte con versamenti in denaro o con permute. Infatti, padre Ludovico (†1610) volle estinguere il vitalizio di 350 lire annue a favore dei Guaineri e la quota residua della dote a favore della sorella Susanna cedendo al cognato terreni per 7400 lire. Altri terreni per 20 piò furono dati in affitto ad Ercole Guaineri alla condizione che, dopo la morte di Ludovico, venissero ceduti ai Porcellaga.

Cogliendo tutte le opportunità economiche offerte dal matrimonio con la Porcellaga, Ercole Guaineri riuscì quindi a costituire a Villa Nuova, dove viveva per gran parte dell’anno, un discreto patrimonio immobiliare e una solida base per l’ulteriore ascesa sociale della famiglia. Egli divenne anche compartecipe della seriola, di cui nel 1572 fu eletto sindaco insieme a Galeazzo Porcellaga.

Nel 1573 il Guaineri dichiarò di possedere a Roncadelle un cortivo e 102 piò di terreni, da cui ricavava annualmente 38 some di “biava grossa”, 25 di “minuto”, 12 carra di vino, 22 di fieno e legna in abbondanza.

I beni acquisiti da Ercole Guaineri a Villa Nuova si dimostrarono però meno proficui del previsto. Oltre a doverli difendere dalle pretese dei Porcellaga (cugini di sua moglie), che nel 1615 avviarono una lunga causa giudiziaria contro di loro, i Guaineri dovettero proteggerli costantemente dalle inondazioni del Mella, che ne diminuivano il reddito e il valore, al punto che Luigi Guaineri, figlio di Ercole, dopo la morte del padre, preferì vendere la proprietà più vicina al fiume “quasi tutta ridotta in sabbia et gierra”. Così, nel 1588 dichiarò di possedere 65 piò di terra “aradora et vidata” e in parte “prativa”, oltre al cortivo (che serviva anche per il massaro e il malghese) con una resa annua di 12 some di “grosso”, 6 di “minuti e legumi”, 10 carra di fieno e 4 di vino.

Testimonianze scritte delle difficoltà incontrate nella gestione dei terreni di Villa Nuova si trovano in vari documenti. Così, ad esempio, Luigi Guaineri racconta che la notte del 29 settembre 1618 il fiume diventò “tanto grande che venne nel cortivo, sì che tutta la casa era piena d’acqua, le brede de sopra di casa e di sotto, l’horto, il brolo, tutto il loco del massaro, et tutto il giorno non si fece altro che far gittar l’acqua da trei homeni fora delli logi di casa essendo alta fin a meza gamba”.

Ma, nonostante le difficoltà incontrate, il legame dei Guaineri con la terra e la comunità di Roncadelle si andò rafforzando. Essi trascorrevano diversi mesi all’anno a Villa Nuova: d’estate seguivano i lavori agricoli, in autunno si dedicavano all’uccellagione. Diversi loro figli furono battezzati nella chiesa parrocchiale (v.) di S. Bernardino. Con i Porcellaga del castello mantennero sempre rapporti di amicizia e solidarietà, eleggendoli a pacieri nelle frequenti vertenze con i Porcellaga di Villa Nuova e concedendo loro anche dei prestiti in caso di necessità; G. Battista Guaineri, figlio di Luigi, divenne anzi il loro “agente” nel difficile periodo in cui i proprietari del castello erano spesso assenti da Roncadelle per problemi con la giustizia: dal 1626 al 1635 egli visse anzi “in casa Porcellaga” utilizzando probabilmente il castello di Roncadelle. E quando i fratelli Guaineri, imputati dell’uccisione di Lelio Lodrini, nel 1633 dovettero sborsare una grossa somma, fu Camilla Fenaroli, vedova di Sansone Porcellana, a salvarli con un prestito.

Col proprio testamento del 1625, Luigi Guaineri lasciò ai figli G. Battista e Tito circa 60 piò di terreni a Roncadelle e il cortivo di Villa Nuova, che venne descritto dagli eredi “con tratti sei di finile et stalle trei et lochi terranei sei et altre stantie superiori in contrata di Villa Nova, cum ara et loco et del massaro et per nostro uso, cum orto di tavole 3 et brolo circondato di cese [siepi], prativo et fruttifero, di piò uno contiguo alla sudetta casa”. L’ingresso principale della cascina era ad ovest.

Alle dipendenze della famiglia vi erano cinque persone: una donna per il governo della casa di Roncadelle, una massara, un ragazzo, un “biolco” ed un “famiglio”. I Guaineri mantenevano anche un cavallo per i loro spostamenti e due paia di buoi per i lavori agricoli. Dalla proprietà di Villa Nuova ricavavano ogni anno 33 some di “grosso”, 12 di “minuti e legumi”, 11 carra di fieno e 7 di vino.

Entrambi apportarono modifiche ai relativi edifici: Tito trasformò la sua parte di stabile in abitazione padronale spostando il massaro in una casetta vicina; e suo figlio Luigi nel 1687 dichiarò che la casa di Villa Nuova “alias di massaro et hora da patrone” era composta da sei stanze al piano terra (compresa una colombaia) e da due stanze al piano superiore “con solaro, horto e broletto”; mentre G. Battista sostituì il portone d’ingresso a nord con un grazioso portale ad arco contornato da stipiti di marmo (sul quale spiccava la data 1666) e l’ingresso per carri e animali venne spostato nella parte orientale del cortivo.

Negli anni seguenti sorsero delle controversie sulla gestione dei beni tra i due fratelli Guaineri, che il 28 luglio 1636 addivennero ad una divisione patrimoniale. La proprietà di Villa Nuova venne divisa a metà. G. Battista si stabilì nella parte padronale del vecchio cortivo, composta da quattro stanze al piano terra e cinque al piano superiore, una stalla, tre “tratti” di fienile, l’aia, l’orto e il brolo cinto di siepe. A Tito spettò la parte occidentale della cascina, ossia “una casa de trati tre, tre corpi teranei di stanze tre, una superiore, fenile, ara” e le attigue due casette a due piani per i braccianti.

In occasione dell’estimo generale del 1646 Tito Guaineri, uno degli “estimatori”, cercò di ridefinire i confini di Villa Nuova per farli coincidere con quelli delle proprietà fondiarie esistenti, alcune delle quali erano venute a trovarsi ripartite su due diverse quadre (la III e la IV di S. Giovanni). Ma concluse che non si potevano “dar confini stabili” in quella zona; e il problema venne rimandato.

Le due proprietà Guaineri rimasero separate finché non si estinse il ramo dinastico di Tito e andarono assottigliandosi: nel 1642 Tito cedette il “Lovatino” (8 piò di terra “arada et vidata”) alla Scuola del Corpus Domini di Roncadelle; nel 1662, per saldare un debito con le Madri degli Angeli a Brescia, i Guaineri dovettero vendere il “prato di Sopra” (10 piò); nel 1666 G. Battista, obbligato da una sentenza giudiziaria a restituire la dote alla nuora rimasta vedova, decise di vendere la “Breda di Sotto” (9 piò).

Se nella polizza d’estimo del 1641 G. Battista aveva dichiarato di possedere 32 piò di terreni a Roncadelle, i suoi figli Scipione ed Ercole nel 1682 ne dichiararono solo 24 e mezzo. E la situazione non migliorò nei decenni successivi, né durante la gestione di Ercole né con quella di suo figlio Pietro, che nel 1722 dichiarò 26 piò e mezzo e che, alla sua morte (1759), lasciò ai figli minorenni Scipione e Cristoforo due case in città, la casa di Villa Nuova con circa 39 piò di terreni e numerosi debiti.

Dopo alcuni anni, fu Scipione (1749-1823) ad assumersi il compito di riassestare le finanze familiari. Non era certo un’impresa facile, dovendo districarsi tra fatture da pagare, prestiti da restituire e altri impegni da onorare, doti da assegnare alle sorelle ed una costante mancanza di denaro liquido. Ma, imponendo una severa economia nelle spese e grazie alla consistente dote apportata dalla moglie Giacinta Rodella, ai proventi del suo “officio” al catasto di Brescia, alle rendite dei possedimenti rimasti, alla vendita di mobili e al pegno dei gioielli più preziosi, egli riuscì nel suo intento. L’accentramento dell’amministrazione familiare nelle sue mani provocò però, dopo qualche tempo, la reazione di Cristoforo (1754-1826) e delle sorelle, che (d’accordo con la madre) avviarono nel 1786 un lungo ed “odioso litiggio” fatto di reciproche furbizie e accuse, di costanti rivendicazioni e controlli, di innumerevoli chiamate di comparizione, di minuziosi estimi ed estenuanti ripartizioni di redditi e di spese. Per alcuni anni i due fratelli divisero a metà tutti i proventi e i prodotti agricoli, finché nel 1791, grazie ad un arbitrato, raggiunsero un accordo per la suddivisione del patrimonio.

La casa di Villa Nuova venne divisa in due parti. A Scipione fu attribuita la porzione orientale del vecchio cortivo, ossia quattro stanze al piano terra (cantina, cucina con dispense, “sechiaro”, altra stanza “caminata”) e altre al piano superiore, con tre tratti di portico, il brolo e l’orto. A Cristoforo spettò la parte occidentale dello stabile padronale e l’adiacente cortivo colonico. Scipione fece erigere, a sue spese, un muro divisorio per separare i relativi cortili e, nel suo grande brolo ad est dello stabile, cominciò a costruire “diversi portici” per alloggiarvi il massaro e depositarvi le sue riserve agricole. I due fratelli divisero equamente i mobili, i gioielli e anche i terreni, che, grazie all’estinzione degli altri rami dinastici, stavano aumentando: 55 piò a Roncadelle e 5 piò a Cellatica. Con l’occasione, venne eliminato l’antico roccolo per la caccia a sud dei cortivi di Villa Nuova, ormai in disuso da oltre 25 anni (Tesa vecchia).

Negli anni successivi, l’impegno di Scipione diede i suoi frutti. Dopo aver ereditato dai cugini del ramo di Tito una casa da massaro e 47 piò di terreni a Villa Nuova (oltre ad alcuni beni in Cellatica), Scipione acquistò dagli Avogadro la vasta azienda agricola di S. Giulina (v.) a Roncadelle e l’11 novembre 1816 divenne proprietario, insieme al figlio Ercole, del castello (v.) di Roncadelle con varie pertinenze.

Le proprietà di Villa Nuova passarono poi per diritto ereditario ad Ercole Guaineri nel 1823 e successivamente, nel 1863, a cinque dei suoi figli (Scipione, Pietro, Ippolita, Giacinta, Eleonora; mentre Luigia era diventata suora). Per un accordo divisionale, nel 1866 la proprietà passò alle sorelle nubili Giacinta ed Eleonora, che vivevano a Milano e la gestione fu affidata a fattori e fittavoli locali.

Dopo la morte di Giacinta (gennaio 1892), i fratelli Guaineri decisero di vendere la proprietà a Giovanni Lombardi.

 

I Lombardi

Giovanni Lombardi, che aveva fatto fortuna con la bachicoltura (v.) e col commercio dei bachi da seta, era originario di Desenzano; trasferitosi a Brescia, nel 1887 iniziò ad acquistare terreni proprio nella zona di Roncadelle. Imprenditore dinamico e capace, continuò ad investire i guadagni nelle attività più redditizie e in titoli di stato. Dalla moglie Maria Locatelli (sposata nel 1868) ebbe quattro figli: Mario, Enrico, Marcello e Domenica (detta Ninì). A Roncadelle acquistò una palazzina a tre piani presso il ponte Mella, chiamata “Uccellanda”, che venne inaugurata il 12 ottobre 1890 con un grande pranzo che riunì amici e parenti. La casa voleva essere residenza estiva e autunnale della famiglia, che lì si rifugiava lontano dai rumori e dalla vita cittadina; ma era anche palazzina di caccia del Lombardi con una “tesa” dove si appostava in autunno; e nel retro vi era una loggia, come deposito per i bozzoli che raccoglieva nelle campagne circostanti. Ogni tanto vi si allestivano spiedi, conviti con gli amici, scampagnate. Amava la vita Giovanni Lombardi e cercava di godersela il più possibile. Nel 1893 acquistò un palco al Teatro Grande di Brescia al prezzo di 800 lire e anche lì si potevano organizzare cenette con gli amici.

E il 9 dicembre 1892 acquistò dai fratelli Scipione, Pietro ed Eleonora Guaineri l’intera proprietà di Villa Nuova al prezzo dichiarato di 101.500 lire italiane. L’acquisto comprendeva ettari 65:41:40 di terreni (oltre 200 piò) con lo stabile per tre affittuali, quattro case coloniche e 30 ore d’acqua settimanali della seriola Porcellaga. Il Lombardi si impegnò a mantenere in servizio il fattore Giovanni Medeghini e i tre fittavoli: Francesco Civettini, i fratelli Belletti e Girolamo Salvi.

Dal 1894 il Lombardi fece parte, a più riprese, della Giunta municipale di Roncadelle. Per alcuni anni lasciò gestire la sua azienda agricola in modo tradizionale, coltivando cereali e viti e allevando animali. Nel 1911 possedeva 50 capi di bestiame; nel 1919 dichiarò di possedere 17 cavalli da lavoro e un cavallo di lusso. E continuò ad estendere la proprietà: nel 1920 possedeva a Villa Nuova terreni per quasi 78 ettari (circa 240 piò), 16 buoi da lavoro e 10 cavalli da tiro. Ma iniziò anche a puntare sulla più redditizia tabaccocoltura (v.) insieme al figlio Mario, l’unico che aveva dimostrato amore per la campagna e che nel 1924 ereditò l’intera proprietà di Villa Nuova.

Mario Lombardi (1882-1953) perito industriale, iscritto al PNF dal 1° giugno 1922, nel frattempo era diventato sindaco di Roncadelle rappresentando gli interessi degli agrari e le istanze degli elettori cattolico-moderati. E nel 1926 fu nominato podestà, carica che esercitò fino al 1930 e poi ancora dal 1939 al 1945. Dalla moglie Adele Grazioli ebbe cinque figli (di cui uno morto a soli 9 mesi). Nel 1929 si trasferì con la famiglia nella villa “Uccellanda”, eletta a sua stabile residenza, dopo avervi attuato una ristrutturazione che si rivela una riedificazione dalle fondamenta. Il corpo centrale venne occupato dagli appartamenti padronali; le ali servivano come alloggio per il personale che lavorava nella casa, nell’orto, nel giardino; come rimessa per le carrozze e come stalla per i cavalli. Un’iscrizione sulla facciata est della casa recita: “Favorisca Iddio il granaio di questa casa, la riempia coi frutti dei miei campi circostanti. Qui godano tranquillamente di un fecondo riposo il padrone, i figli, i nipoti, gli ospiti, con la protezione di Dio”. Abile ed energico amministratore, datore di lavoro autoritario e generoso, Mario Lombardi venne diversamente giudicato dai suoi dipendenti e dai Roncadellesi. Egli sapeva riconoscere i meriti dei suoi collaboratori; si interessava alle più svariate pratiche dei suoi dipendenti; al termine dei grandi lavori agricoli organizzava un “rancio” e una gita per i lavoratori; a Natale forniva gratuitamente la carne in proporzione ai componenti di ogni famiglia e inviava 20 lire in regalo ai lavoratori combattenti; per le lavoratrici del tabacco abitanti fuori cascina aveva istituito una sorta di mensa aziendale; alle puerpere sue dipendenti faceva arrivare per alcuni giorni una razione di carne. I suoi avversari sostenevano invece che era un padrone autoritari e intransigente, che sfruttava i suoi lavoratori e non si faceva scrupoli a licenziare chi non si adeguava ai suoi metodi. Come imprenditore agricolo si distinse nella memorabile “battaglia del grano” classificandosi nel 1932 al terzo posto nella graduatoria delle grandi aziende agrarie della provincia di Brescia e ricevendo nel 1935 la Stella d’Argento di 2° grado al merito rurale.

Verso la fine della guerra la villa Lombardi al ponte Mella venne requisita dai tedeschi, che vi smistavano i cadaveri raccolti in zona. Nell’aprile del 1945, dopo essersi dimesso da podestà (rifiutandosi di farsi requisire un cavallo dai tedeschi), Mario Lombardi stava cercando rifugio in Svizzera con la moglie, quando suo figlio Giovanni di soli 20 anni, appena tornato dalla Germania, nel tentativo di fermare una rapina in corso nel suo magazzino di tabacco a Villa Nuova, venne ucciso sulla vicina autostrada da una colonna di tedeschi in fuga, a cui stava chiedendo aiuto. Suo fratello Giuseppe riuscì a salvarsi in modo fortunoso. Pochi giorni dopo Giuseppe Bellandi (16 anni) rimase ucciso da uno spezzone incendiario e Angelo Conforti (11 anni) fu squarciato da una bomba a mano trovata nel Mella. “Sono stati per Villanuova dieci giorni di lutto” lasciò scritto Ines Groppelli, che a quei tempi era una ragazza, “Per fortuna i nostri soldati di Villanuova sono tornati tutti sani e salvi”.

Oltre alla coltivazione del frumento, del granoturco, a volte di girasoli e di lino, l’azienda Lombardi si dedicava alla coltivazione del tabacco, un’attività che impegnava anche molte donne e alcuni ragazzi, e alla bachicoltura (v.), nella quale Villa Nuova era l’azienda locale preminente con 5,50 once di seme allevato e 346 kg di bozzoli ottenuti (dati 1935) dando lavoro e qualche guadagno aggiuntivo alle famiglie locali. Nel 1942 lavoravano a Villa Nuova 44 salariati fissi: 11 bifolchi, 13 braccianti generici e 20 avventizi (di cui 14 donne). Nel 1946 l’azienda Lombardi aveva 33 dipendenti con 105 persone a carico. La superficie a semina produceva 649 quintali di grano (32 per ha) e 483 quintali di mais (37 per ha).

Ricordava Ines Groppelli (1930-2012): “La cascina di Villanuova era la più pregiata di tutte perché c’era lavoro per tutti e il signor Lombardi Mario era un uomo molto fine e ci voleva molto bene; per Santa Lucia ci faceva i regali a tutti a noi bambini della cascina; aveva un cuore d’oro, anche se era fascista. Villanuova era divisa in quattro nuclei: “Labirinto”, “èl löc grand”, “Ginevra” e la “Piccola Parigi”. Vi abitavano una quindicina di famiglie, quasi tutte numerose. In cascina c’era lavoro per tutti, come agricoltura e come industria del tabacco. Vi lavoravano tante donne, che venivano da tutto il paese e anche da fuori. Il “Labirinto” era chiamato così perché chi entrava non sapeva come uscire; vi erano sei o sette famiglie numerose. Dopo pochi passi c’era “èl löc grand” con il magazzino del tabacco e tutti i capannoni per il tabacco di toscano (perché quello di sigaretta si metteva sotto i portici e c’era poco da fare). Dopo il magazzino del tabacco c’era la grande sala di cernita, c’era la sala dell’imbottamento, le celle e la caldaia per essiccare il tabacco e poi inumidirlo per l’imbottamento, che facevamo in 7 o 8 persone; tre per le botti, tre per i mazzetti, che le piccole dovevano preparare per imbottare. Le botti più piccole erano di 4 quintali o di più. Il nostro capo Vittorio [Seminario] ci trattava molto bene. Nella sala da cernita eravamo più di 40 persone, tra piccole e grandi, nel periodo da dicembre a fine marzo. Una volta portato in magazzino, Mario Lombardi non era più proprietario, perché la Finanza prendeva le chiavi: il tabacco era dello Stato. Finito l’imbottamento del tabacco, Mario Lombardi ci ha fatto un regalo: eravamo in sette sulla sua Giardinetta; ci ha portato sul lago d’Iseo a Pisogne. Quanto ridere! Quanto bello per lui e per noi! Pranzo e cena alla Mandolossa!”.

Nel dopoguerra, il Lombardi aderì alle richieste di rimborso di alcuni Roncadellesi, che gli rinfacciavano tutte le colpe del fascismo (v.), per non sottrarsi al ruolo e alle responsabilità che aveva assunto; e ricevette anche varie lettere di ringraziamento, conservate nell’archivio di famiglia. Per fronteggiare la vasta disoccupazione di quel periodo, Villa Nuova (come tutte le grosse aziende agrarie) venne obbligata ad assumere lavoratori aggiuntivi, col cosiddetto “superimponibile”, che arrivò fino a 14 unità ogni 100 piò di terreni irrigui.

Tra il 18 maggio e il 23 giugno 1949 si svolse un grande sciopero agricolo per ottenere il contratto collettivo nazionale, accompagnato da gravi incidenti in numerosi paesi tra scioperanti e “crumiri”. A Villa Nuova molti lavoratori aderirono all’agitazione ed il 6 giugno, quando Mario Lombardi chiamò alcune decine di “liberi lavoratori” di Travagliato ad eseguire i lavori più urgenti, nonostante il tentativo di mediazione del parroco e del curato, lo sciopero si trasformò in scontro armato con diversi feriti, quindici dei quali ricoverati (v. contratti agrari). Anche in questa occasione, il Lombardi andò incontro a varie richieste di rimborso per danni subiti.

Alla sua morte, nel 1953 Villa Nuova venne ereditata dai figli e, in particolare fu Giuseppe (1928-2007), uomo semplice, buono ed onesto, appassionato di caccia, che gestì per un cinquantennio la vasta proprietà e la sua trasformazione in area urbana, industriale e commerciale, vivendo costantemente nella villa presso il ponte Mella con la moglie Eugenia Platto e le due figlie (che con grande disponibilità ci hanno fornito preziose informazioni storiche).

 

La trasformazione

 

Già nel 1930 la costruzione del tratto di autostrada Brescia-Bergamo aveva tagliato in due la proprietà di Villa Nuova; nel dopoguerra la porzione a sud dell’autostrada (Tesa Vecchia e Fontanone) veniva affittata come proprietà separata e venne poi urbanizzata. Più recentemente è stata realizzata, e più volte ampliata, la Tangenziale Sud di Brescia, che ha affettato ulteriormente la storica proprietà.

Negli anni Sessanta e Settanta si insediarono a Villa Nuova alcune attività artigianali e grande impressione suscitò nel 1975 lo scoppio di una bombola di gas propano, che provocò quattro vittime e danneggiò irreparabilmente l’ex chiesetta seicentesca di S. Rocco. Nella parte più orientale del territorio si stabilirono anche grosse industrie (v.), come l’ATB, la SETA (poi ALMAG), la Tosoni Fluidodinamica, ecc. Nel 1982 si costituì un Consorzio Artigiano, che realizzò a Villa Nuova 29 capannoni per gli artigiani (v.) locali. Poi si diede nuovo spazio al commercio (v.) ed in particolare alle richieste di insediamento della grande distribuzione organizzata, che già aveva occupato spazi nella zona sud del paese. Nel 1996 si inaugurò il centro commerciale integrato “Le Rondinelle” su un’area di 166.000 mq (di cui 45.000 coperti) con un parcheggio da 3.200 posti macchina. Nel 2005 l’Ikea, per ampliare la propria superficie di vendita, si trasferì più a nord rispetto alla vecchia sede e, nel 2016, realizzò nell’area adiacente un altro grandioso centro commerciale (chiamato “Elnòs”) con 88.000 mq di superficie coperta ed un parcheggio di oltre 4.000 posti auto.

Con l’urbanizzazione e la settorializzazione avvenuta negli ultimi decenni (anche attraverso le infrastrutture sovracomunali), il paesaggio (v.) attuale di Villa Nuova è la fotografia della trasformazione economica e identitaria avvenuta a Roncadelle, che rischia di far dimenticare “l’immenso deposito di fatiche” delle generazioni passate che il territorio racchiude, insieme alle relazioni sociali e ai valori che hanno caratterizzato la comunità locale nei secoli passati.

L’auspicio è che vengano salvaguardate adeguatamente le antiche strutture rurali (mentre una cascina del 1626 è già scomparsa) con piani di recupero rispettosi della loro valenza storico-paesaggistica e in alcuni casi artistica, attraverso modalità, soluzioni architettoniche e materiali atti a conservarne e permetterne una “lettura” della loro funzione storica, prestando una particolare attenzione alla prima villa Porcellaga, uno scrigno con tesori ancora nascosti.

Villa Nuova costituisce infatti un elemento essenziale dell’identità culturale di Roncadelle, in grado di ricordarne la storia e di legare il presente con il passato.