TABACCOCOLTURA

Pianta erbacea dalle foglie aromatiche, originaria dell’America tropicale, il tabacco si diffuse in Europa nel ‘500. Le sue foglie essiccate vennero utilizzate dapprima in corda da masticare e in polvere da fiuto, poi per i sigari e la pipa e infine per le sigarette. Introdotta in Italia nel 1570, la sua coltivazione si ampliò nella prima metà del ‘600 e vari governi, sull’esempio inglese, cercarono di trarne un’utile entrata facendone un monopolio di Stato. Anche la Repubblica di Venezia prese severi provvedimenti in tal senso, proibendone sia la coltivazione abusiva che il contrabbando.
Una coltivazione vera e propria del tabacco venne introdotta nel territorio bresciano solo nel 1920 per iniziativa della Cattedra Ambulante di Agricoltura e del Consorzio Agrario Bresciano. E Giovanni Lombardi, sempre attento alle nuove possibilità di guadagno, fu tra i primi ad aderire, insieme al figlio Mario, diventando concessionario dello Stato e destinando parte dei suoi terreni di Roncadelle alla tabaccocoltura.
In effetti, la scelta si dimostrò molto redditizia: il reddito lordo al piò, che per il mais era allora di 1.200 lire, per il tabacco saliva a 2.900 lire. Il tipo di tabacco più redditizio era il “Kentucky” utilizzato per sigari “toscani”; altre varietà coltivate erano il Burley (per le sigarette) e il Bright Virginia.
Dopo la prima lavorazione e l’imbottamento in cascina, il tabacco veniva portato a Desenzano, dove Giovanni Gorio aveva fondato la Manifattura Tabacchi per conto del Monopolio di Stato.
Ma seguiamo il racconto di Giuseppe Scalvini (1922-2006) che, a Villa Nuova, ha lavorato dal 1937:
“L’azienda di Lombardi era molto grande; quando era il momento del tabacco c’erano quaranta-cinquanta donne e circa trentacinque uomini che ci lavoravano. La coltivazione del tabacco funzionava così. A febbraio lo si seminava e ai primi di maggio bisognava trapiantarlo, fare la piantagione. Con il carro si trasportavano le piantine con la terra attaccata (per non lasciare scoperte le radici) dalla cascina al campo. Quando si piantava, si usava il regadùr (rigatore); era uno strumento che serviva per rigare tutto il terreno e dividerlo in quadri uguali di quaranta centimetri per trenta, per regolare la distanza tra una pianta e l’altra. Prima, il lavoro di piantare si faceva tutto a mano, poi l’azienda ha preso due macchine, e per ogni macchina servivano due persone. In ogni caso, a luglio si raccoglievano le prime foglie, le foglie basse. C’erano due tipi di tabacco, quello della sigaretta e quello del toscano, e avevano una lavorazione diversa.
Il tabacco per il toscano, quando era arrivato ad una certa altezza lo si spuntava, si faceva la cimatura; niente taglio, sempre con le mani. Era un lavoro che facevamo noi giovani, noi gnarelòcc. Dopo, verso settembre, la pianta veniva tagliata alla base, e il tabacco si appendeva sui soffitti dei capannoni. Rimaneva appeso fino circa a novembre, perché doveva essiccare. Poi lo si tirava giù, gli si toglieva la gamba, si prendevano le foglie e le si impacchettavano. Le gambe non si buttavano, si adoperavano come legno. Finito questo lavoro, le foglie si sistemavano in mazzetti – erano quintali e quintali di tabacco. Dopo aver lasciato per un po’ le foglie a riposare, c’era la cernita. Questo era un lavoro che facevano soprattutto le donne e le ragazze, più che gli uomini; i mazzetti sul tavolo venivano controllati foglia per foglia, e le foglie venivano raggruppate a quattro-cinque alla volta in base alla lunghezza e al colore. In seguito c’era il trattamento con il vapore, nelle celle: alla temperatura di circa quaranta gradi le foglie venivano fatte ulteriormente seccare. A quel punto il tabacco veniva passato nella cassetta, cioè veniva esposto nuovamente al vapore, ma stavolta per inumidirlo e ammorbidirlo. Poi veniva messo nelle botti, a fermentare, sempre mantenendo distinti i diversi colori e le diverse misure (si metteva in botte un tipo di foglie alla volta) e, man mano che la botte si riempiva, il tabacco vi veniva pressato; erano botti di un metro e venti di larghezza.
Io facevo il lavoro della cassetta. Eh, si fa presto a dirlo, bisogna provarlo! Non era facile lavorare il tabacco, perché “porta via il fiato”; tanti infatti stavano male. Anche a me è capitato di star male quando lavoravo alla cassetta e, nell’aprire il manubrio della macchina che lo faceva uscire, finivo per respirare il vapore.
Dopo il riempimento delle botti, veniva il funzionario del Monopolio a “fare la prova”, a controllare la qualità del tabacco. A metà maggio, infine, il tabacco partiva e andava al Monopolio. Questa coltivazione ad un certo punto è stata abbandonata, perché c’era più guadagno commerciale con le sigarette che con i toscani.
Per le sigarette, la semina e il trapianto si facevano nello stesso periodo e nello stesso modo in cui si facevano per i toscani; la raccolta era diversa, perché si raccoglievano solo le foglie, una per una: la foglia bassa, quella in mezzo e quella sopra. Il tabacco lo si faceva seccare sulle stanghette, cioè dei pezzi di legno su cui le foglie venivano legate. Poi avveniva la cernita, e anche in questo caso le foglie venivano divise in mazzi di quattro o cinque uguali per colore e lunghezza; le foglie di scarto venivano usate per tenere insieme i mazzi. Poi c’era il trattamento in cella, e infine si mettevano le foglie nelle botti. Questo trattamento nell’insieme era un po’ meno impegnativo dell’altro, ma era comunque lungo; alla fine durava anche questo circa un anno” (testimonianza raccolta da Enrica Rizzini).
Nel 1947 venne assunto Vittorio Seminario quale esperto e tecnico per la coltivazione e lavorazione del tabacco, nonché come “capo uomo” agricolo. Quell’anno la produzione locale di tabacco fu di 361 quintali; due anni dopo arrivò a 450. Questa coltivazione era talmente redditizia che un quintale di tabacco valeva come cinque quintali di frumento.
La coltivazione del tabacco a Villa Nuova chiuse nel 1963, in seguito a nuove disposizioni di legge. È rimasta sottoposta a Monopolio di Stato fino al 1970, quando è stata liberalizzata, almeno per l’uso domestico (non più di mille foglie).