BACHICOLTURA

Venerdì, 1 Agosto, 2025 - 11:00
Ufficio: 
Cultura e Sport
Data pubblicazione: 
Venerdì, 1 Agosto, 2025
Area Tematica: 

L’allevamento di bachi da seta ha costituito in passato, insieme alla gelsicoltura che ha trasformato il paesaggio locale, un’attività redditizia e molto diffusa. Con la bachicoltura infatti molte famiglie hanno avuto la possibilità di arrotondare i propri scarsi redditi e vari imprenditori si sono arricchiti con la produzione e il commercio della seta.

 

L’allevamento dei bachi da seta (caalér), introdotta in territorio bresciano nel ‘400 col sostegno delle autorità venete, ebbe un crescente sviluppo, in concomitanza con la diffusione del gelso (mùr). Una “provvisione” del Comune di Brescia del 16 maggio 1511 mise in rilievo l’importanza economica della gelsicoltura, per il largo e facile guadagno che se ne poteva trarre, con poca spesa e senza molta fatica, grazie all’allevamento dei bachi o “cavalieri”. Ed i campi incominciarono ad incorniciarsi di lunghi filari di gelsi dalla chioma rigogliosa. Agostino Gallo nelle sue “Venti giornate della vera agricoltura” (1569) sostenne che nel Bresciano i “mori” si contavano a milioni e consigliava di rifornirsi di seme-bachi spagnolo o calabrese per una resa maggiore, mentre dal 1564 si diffondeva un trattatello sull’allevamento dei bachi da seta stampato a Brescia da Damiano Turlini (v.).

Dal ‘600 la trattura, filatura e tessitura della seta rappresentò una delle industrie agrarie più redditizie nel Bresciano e sempre più proprietari e lavoratori agricoli si dedicarono alla bachicoltura come attività complementare ad integrazione del proprio reddito senza costi aggiuntivi di manodopera, dal momento che l’impegno dell’allevamento durava solo poche settimane in un periodo di scarsi lavori campestri. La bachicoltura continuò a diffondersi per tutto il Settecento. E così la sericoltura.

Anche Roncadelle ebbe un suo filatoio presso la cascina Bonomi nella Contrada di Sopra. All’inizio dell’Ottocento si raggiunse una produzione annua provinciale di 3 milioni di kg di bozzoli. Poi la pebrina ne ridusse notevolmente la quantità, ma stimolò la ricerca di rimedi e miglioramenti per migliorarne la qualità, anche attraverso l’importazione di semi-bachi orientali. Gaetano Facchi, che aveva proprietà fondiarie ad Antezzate (v.), si impegnò a cercare soluzioni per un’attività ancora redditizia e contribuì a fondare nel 1865 l’Associazione Bacologica bresciana, che fece arrivare grandi quantità di semi dal Giappone. Nel 1871 la provincia di Brescia produceva la nona parte di tutto il prodotto nazionale. Giovanni Lombardi, prima di acquistare nel 1892 la proprietà di Villa Nuova (v.) a Roncadelle, si era arricchito con la produzione e il commercio della seta e ancora nel 1897 prese in affitto la filanda di Giuseppe Ducos a Brescia.

Nei primi due decenni del ‘900 la produzione ebbe alti e bassi. Nel 1924 la bachicoltura bresciana risultava seconda solo a quella milanese. Nel 1935 a Roncadelle i maggiori allevatori di bachi erano Mario Lombardi (Villa Nuova), don Giacomo Contessa (parrocchia), Giacomo Consoli (Contrada di Sopra), Cesare Guzzi (S. Giulia), Lorenzo Toninelli (Mandolossa), Ercole Guaineri, Francesco Buffoli, Luigi Panada, Giovanni Foini, Eligio Bignotti, Cesare Comini, che produssero un totale dichiarato di 1802 kg di bozzoli partendo da 27 once di seme (produzione media: quasi 67 kg per oncia). Anche varie famiglie erano impegnate in piccoli allevamenti di bachi. Poi, dagli anni Sessanta cominciò un lento e inarrestabile declino a causa della produzione di fibre sintetiche e del cambiamento nell’organizzazione agricola, che resero sempre meno conveniente la bachicoltura.

Ma come avveniva l’allevamento?

I bachi erano pazientemente curati e allevati soprattutto dalle donne, che si occupavano di tutto il ciclo traendone spesso un reddito “personale”. Le uova dei bachi si prendevano a once perché sulla stessa misura si valutava la resa in bozzoli. Un’oncia equivaleva a circa 30 grammi. Ogni famiglia comprava mezza oncia, o al massimo un’oncia, di seme custodito in apposite piccole scatole: le uova erano puntini neri quasi invisibili, che poi si schiudevano lasciando uscire innumerevoli bruchini. Bisognava allora triturare finemente le foglie dei gelsi per alimentare i piccolissimi bachi, che all’inizio dovevano essere custoditi al caldo; poi, quando erano abbastanza cresciuti, venivano distribuiti su graticci (arèle) magari su logge arieggiate. Bisognava quindi raccogliere dai gelsi fogliame in abbondanza e distribuirlo più volte al giorno sui graticci. Nel giro di un mese, mutando pelle quattro volte, gli animaletti voracissimi crescevano a dismisura, occupando sempre più spazio. Quando le foglie non bastavano più, si fornivano loro interi rami tagliati dai gelsi. La masticazione del cibo era incessante e produceva un rumore continuo, finché maturavano quella preziosa sostanza che, pazientemente filata serviva a costruire il bozzolo, minuscolo gomitolo di prezioso filo di seta. In circa dieci giorni i bozzoli (galète) erano pronti. Si raccoglievano, scartando quelli andati a male, e li si portava al Consorzio o alle filande. La prima operazione della filanda era la scottatura dei bozzoli, in modo da far morire la larva interna. Poi si sgomitolava il filo di seta del bozzolo per produrre la stoffa serica.

Oggi sono ancora visibili filari di gelsi in alcune strade rurali come residua testimonianza della diffusione che questa attività ha avuto in passato sul territorio contribuendo allo sviluppo economico locale.