ROMANI

Giovedì, 19 Giugno, 2025 - 11:30
Ufficio: 
Cultura e Sport
Data pubblicazione: 
Giovedì, 19 Giugno, 2025
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Notevole è l’eredità culturale e materiale che i Romani hanno lasciato anche sul territorio bresciano. Oltre alla lingua latina, che ha preso il sopravvento sulle lingue precedenti, i Romani hanno portato capacità realizzative grandiose, innovazioni in campo ingegneristico, giuridico, artistico, istituzionale, che hanno segnato per sempre la nostra storia.

 

I Cenomani (v.), che prima dell’era cristiana occupavano tutta la pianura bresciana, avevano accettato con favore prima l’alleanza e poi l’egemonia di Roma, riconoscendole una superiore civiltà e una maggiore capacità organizzativa, ottenendo in cambio la garanzia di una certa autonomia interna. Il rispetto degli ordinamenti celtici ed il rafforzamento del potere delle aristocrazie locali fu infatti un efficace strumento politico adottato dai Romani per devitalizzare la tradizionale aggressività delle tribù celtiche e portarle ad una graduale acculturazione, se non omologazione, nei confronti della loro civiltà. La lingua, il diritto e la moneta di Roma si imposero rapidamente su tutto il territorio bresciano. Gli Dei celtici vennero assimilati in gran parte a quelli romani. Il ceto sociale egemone adottò i costumi romani, compreso l’uso dei tre nomi. E favorì la grandiosa centuriazione (v.) della pianura.

Quando vi giunsero i Romani, il territorio bresciano era ancora in gran parte coperto da foreste, periodicamente invaso dalle acque, ma molto promettente. E, non appena ebbero affermato la propria egemonia sulla pianura bresciana, nel I secolo a.C. essi innestarono un’azione sistematica e molto incisiva nella trasformazione del territorio, alterando profondamente l’assetto originario dell’ambiente, attraverso il collaudato procedimento della limitatio, che aveva diverse funzioni: oltre a soddisfare le richieste di terra dei veterani dell’esercito e di altri coloni, doveva infatti aumentare la produzione di derrate agricole e consentire un maggior controllo sui territori entrati a far parte dello Stato romano. Gran parte del territorio venne così trasformato in aratorio attraverso una grandiosa opera di disboscamento, di livellamento, di bonifica, di sistemazione idraulica.

Brixia, da grosso villaggio celtico, divenne colonia latina nell’89 a.C.; nel 42 a.C. venne trasformata in municipium civium Romanorum e nel 27 a.C. ricevette il titolo di Colonia Civica Augusta. La centralità che i Romani attribuivano all’urbs fece di Brixia il riferimento principale del territorio cenomane, l’elemento unificante della vita locale. Arricchita di nuove costruzioni e di numerose opere pubbliche e circondata da solide mura, Brixia mutò profondamente il suo aspetto, che si andò sempre più adeguando al modello romano. Essendo posta presso il confine tra le province senatorie e le province imperiali, Brixia assunse anche il ruolo di centro di reclutamento e di raccolta di truppe legionarie e pretoriane. Le cariche pubbliche venivano distribuite e controllate da un senato di 100 membri, tutti cittadini romani. Per diventare cittadini romani occorrevano alcune condizioni: aver militato per almeno vent’anni nell’esercito, aver conseguito meriti speciali riconosciuti da Roma o essere diventati “decurioni” con un patrimonio di almeno centomila sesterzi (in possessi immobiliari). Fu anche per questo che la classe dirigente si impadronì di circa un terzo del territorio bresciano, spesso a scapito dei piccoli proprietari.

Il territorio suburbano venne asservito alle esigenze della città. Per la mentalità romana, intorno alla città non poteva esserci che una campagna ordinatamente organizzata, mentre la selva e la palude, sentite come presenze ingombranti, dovevano rimanere realtà marginali, quasi nascoste. Il territorio di Roncadelle, forse attribuito ad una località vicina o, più probabilmente, legato al suburbio municipale di Brixia, non formava un villaggio (vicus), ma fungeva da cerniera tra la pianura più produttiva, suddivisa in distretti rurali (pagi), e la città, la cui porta sud-occidentale venne chiamata appunto porta paganorum.

Anche se la popolazione di Brixia era piuttosto limitata (non superando i 9.000 abitanti), la produzione agraria del suburbio andò aumentando e consentì sia l’accumulo di riserve cerealicole per la città, il cui horreum sorse proprio accanto alle mura occidentali, sia un vivace commercio. Si può presumere che nei due secoli e mezzo della “pace augustea” il territorio di Roncadelle abbia contribuito alla prosperità economica della città con la sua crescente produzione agricola, dovuta all’estensione del seminativo, e con i suoi allevamenti (v.), favoriti dalla presenza di larghe fasce boschive. I Romani attuarono con ogni probabilità un primo incisivo intervento anche sul corso del Mella (v.), proprio nel tratto ad ovest della città; sembra che, per garantire un deflusso più regolare e meno pericoloso delle acque, abbiano modificato il corso del fiume e la pendenza dell’alveo. Da alcune evidenze si deduce che il fiume venisse usato anche per la navigazione; la sua profondità doveva quindi essere maggiore rispetto a quella attuale.

In epoca romana il territorio bresciano venne integrato in una complessa rete stradale, spesso lastricata, che doveva facilitare gli spostamenti e gli scambi commerciali. Gli antichi sentieri cenomani, che collegavano Brescia ai villaggi della pianura occidentale lambendo l’attuale territorio di Roncadelle, vennero ricalcati dalla viabilità romana, come testimoniano i numerosi ritrovamenti archeologici lungo quei percorsi. La geometrica mentalità romana, che faceva tracciare le strade ben diritte attraverso la campagna riempiendo ogni avvallamento e superando con appositi ponti ogni corso d’acqua, incontrò qualche problema sul territorio di Roncadelle; infatti, il tratto di strada tra la città e Torbole doveva essere alquanto diverso da quello attuale, per consentire di superare le difficoltà dovute alla natura del terreno e alle frequenti esondazioni del Mella. È probabile che il suo percorso (chiamato nel Medioevo “strata turbolasca”) attraversasse il fiume a sud dell’attuale ponte di Roncadelle per dirigersi verso Onzato e volgersi poi verso Torbole (“Portone”), dove si collegava all’importante strada che portava a Laus Pompeia (Lodi Vecchia), strada che era a sua volta collegata con la Cassanensis, che collegava Brescia a Milano passando a nord del territorio di Roncadelle.

Risale forse a quell’epoca anche la strada che nel Medioevo collegava Verona a Milano passando a sud di Brescia, toccando Travagliato, Castrezzato, Chiari e interessando il territorio di Roncadelle: tale tracciato venne usato spesso dagli eserciti in marcia di trasferimento. In ogni caso, la presenza di vie di comunicazione di un certo rilievo significò una maggiore attenzione delle autorità cittadine verso il territorio locale, se non altro per conservare l’agibilità delle strade, e comportò un passaggio costante di merci e di novità, insieme ad un certo sviluppo economico.

Ogni dieci miglia circa, sulle strade principali, sorgeva una mansio (o una statio o una mutatio) per le soste, il cambio dei cavalli, il riparo e il ristoro dei viaggiatori, dei conducenti e degli animali, ossia un complesso che fungeva insieme da albergo, rifugio e stazione di servizio. È lecito chiedersi se l’Hospitium (v.) esistente a Roncadelle nel Medioevo sulla strada Brescia-Orzinuovi possa avere una origine più antica. Anche se la vicinanza al punto di attraversamento del Mella può aver creato l’esigenza di un rifugio stabile, è improbabile che sia sorta allora una stazione, sia perché quel tratto di territorio era allora poco battuto dal grande traffico, sia perché vi erano nelle vicinanze altri punti di sosta, come la località Mansione (presso la città) e a Trenzano.

Se i Bresciani di allora provarono ammirazione per le capacità organizzative e tecniche dei Romani e subirono il fascino della loro civiltà, i Romani seppero a loro volta apprezzare la laboriosità e la tenacia dei Bresciani, nonché alcune loro caratteristiche che richiamavano le virtù degli antichi. Lo scrittore comasco Plinio il Giovane (61-113 d.C.), che possedeva nel Bresciano 3.000 iugeri di terra (oltre 2.300 piò), parlando in una delle sue Epistulae dell’amico Minuzio Aciliano scrisse, ad esempio: “È nato a Brescia, città di una parte d’Italia ove ancora si conserva un po’ della modestia, della frugalità, della semplicità dei nostri Antenati”.

Le ricorrenti carestie ed epidemie (v.) dei secoli seguenti, unite ad una crescente crisi economico-produttiva delle campagne e all’enorme squilibrio nella distribuzione della ricchezza, furono alcuni importanti fattori di crisi dell’Impero romano, ben visibili anche a Brescia e nel suo territorio, prima delle invasioni di popoli “barbari” dall’est Europa. L’inasprimento della pressione fiscale, dovuto ai costi degli eserciti mercenari e della crescente burocrazia statale, e la diminuzione dei prezzi agricoli derivata dalla forte concorrenza delle province, comportarono infatti un progressivo abbandono delle campagne e ridussero la produzione agricola a livelli di sussistenza; le famiglie contadine vennero vincolate per legge alla terra che coltivavano: nacquero così i “servi della gleba”, sempre più sottoposti al dominio dei latifondisti. Ma il pesante dirigismo statale adottato da alcuni imperatori servì solo a ritardare il collasso del sistema politico- economico del tardo impero, che manifestava sempre più chiaramente le proprie difficoltà.

 

Ma molte delle innovazioni introdotte dai Romani costituirono dei riferimenti anche per i secoli successivi e l’eredità culturale di Roma venne raccolta dalla Chiesa cristiana.