MULINO

Il mulino era un’infrastruttura necessaria a trasformare i cereali in farine, ma non solo. Esso costituiva infatti un essenziale punto di incontro, di scambio di informazioni. Il mugnaio era un personaggio importante, non solo perché sapeva far funzionare le macine (trattenendo per sé come compenso una parte del macinato), ma anche perché conosceva molte persone e poteva dare utili indicazioni a chi ne aveva bisogno; a volte sapeva fare da abile intermediario tra contadini e possidenti; ed era inoltre in grado di eseguire trasporti e provvedere ad acquisti per conto terzi. Il mugnaio veniva spesso accusato di furbizia, perché il peso della farina risultava sempre inferiore a quello delle relative granaglie, anche se le operazioni di pulitura e macinazione comportavano sempre un calo di peso fisiologico.
Sul territorio locale hanno funzionato due mulini ad acqua: il vecchio mulino di S. Giulia (per almeno sei secoli e mezzo) e il mulino Porcellaga (per circa due secoli).
Il primo documento che ne parla in modo esplicito risale al 1315, quando il vecchio mulino faceva parte integrante dell’antica corte locale del monastero di S. Giulia ed era una delle strutture economiche più importanti del territorio di Roncadelle. Fu costruito, probabilmente nel XIII secolo, accanto alla cascina di Sant’Ulgina (Santa Giulina) e all’antica chiesetta di S. Giulia in fondo alla Contrada di Sopra (poi chiamata via S. Bernardino).
In una pergamena conservata a lungo presso la Queriniana di Brescia, riguardante un’investitura dei beni di S. Giulia a Roncadelle del 1315, si parla infatti di quella corte, che era composta da “domum magnam, alias domos, fenille et molendinum”, ossia da una grande casa (riservata al conduttore della corte), altre case (per i dipendenti), il fienile e, appunto, il mulino, che veniva alimentato da una derivazione della vicina roggia Mandolossa.
Documenti successivi attestano che il mulino aveva due ruote e quindi due macine, ma era attivo solo alcuni mesi all’anno, quando la quantità d’acqua che scendeva dalla Franciacorta attraverso il Mandolossa e il Gandovere (tra loro collegati) ne consentiva il funzionamento.
Il mulino veniva dato in gestione ad un mugnaio (generalmente per nove anni), contro il versamento di una somma di denaro e/o di una quantità stabilita di farina. Sappiamo, ad esempio, che nel novembre 1409 venne affittato a Martino Puliselli.
All’inizio del ‘500 i Porcellaga, divenuti signori di Roncadelle, cercarono di affrancarsi dalla dipendenza di quel mulino costruendone un altro più a sud, tra il castello e il Mandolossa. Anche il nuovo mulino aveva due ruote, azionate dall’acqua del vicino vaso Arnoldo tramite una derivazione fatta scavare da Gian Francesco Porcellaga senza il preventivo assenso dei comproprietari dell’acqua (Bartolomeo Girelli e il monastero di S. Faustino), i quali per qualche tempo chiusero un occhio vedendo che l’acqua “servito che aveva al molino” ritornava nell’Arnoldo, ma nel 1508 vollero definire col Porcellaga un accordo scritto che garantiva loro alcuni vantaggi.
Ognuno dei due mulini veniva affittato con l’abitazione per il mugnaio, una stalletta e un appezzamento di terra adiacente. Nel mulino del castello vi era anche una “masna da linosa” per macinare i semi di lino e ricavarne olio.
I “molinari”, che verso la fine del ‘500 si chiamavano Silvestro (quello del castello) e Salamone (quello di S. Giulia), si facevano pagare per lo più in natura da quanti usufruivano del servizio di molitura. Il mugnaio del castello doveva consegnare annualmente come affitto ai Porcellaga una quantità stabilita di prodotti agricoli, che intorno alla metà del ‘600 corrispondeva a cinque some di frumento, cinque di miglio e un “animale porcino” di 12 pesi, salvo riduzioni per i periodi nei quali non arrivava acqua al mulino. Il mugnaio aveva anche il compito di tener curato il vaso che collegava il mulino alla seriola Porcellaga, con i relativi argini e ponti, per conto dei compartecipi della seriola, che versavano a tale scopo 3 soldi per ogni ora d’acqua settimanale posseduta.
Ma il mulino Porcellaga non durò a lungo, per la perdita di convenienza economica, dovuta sia alla scarsità di acqua, sia alla concorrenza del vecchio mulino di S. Giulia, costantemente preferito dalla popolazione locale.
All’inizio dell’800 la proprietà di Santa Giulina apparteneva ai Guaineri, che stavano diventando i maggiori possidenti di Roncadelle. In una relazione del 1818 sull’economia locale per conto dell’Amministrazione austriaca, Scipione Guaineri fornisce alcune informazioni sul vecchio mulino: “Dal torrente Mandolossa, col mezzo di costosa travata che lo attraversa, si leva una porzione di acqua che serve per l’andamento di un Molino a due sole ruote, e nei giorni di Domenica d’ogni settimana si adoperano quell’acque per l’irrigazione di alcuni prati, restando allora inoperoso il molino stesso; nei due mesi di Luglio ed Agosto resta pure inoperoso, poiché in tale stagione mancano intieramente le acque, che solo provengono per le nevi che si squagliano sui monti o per le dirotte piogge, mancando le quali cessa anco ogni beneficio”.
Il vecchio mulino ha continuato a funzionare più o meno regolarmente fino al 1961, quando, reso antiquato e poco remunerativo dall’evoluzione tecnologica, il mugnaio Zanotti ne decise la chiusura. Dopo qualche anno la vecchia struttura, spogliata delle sue attrezzature, divenne una muta e quasi spettrale testimonianza del passato. Acquistato dal Comune, nel 2001-03 è stato trasformato in minialloggi per scopi sociali.
Se è bene che la vecchia struttura abbandonata torni in qualche modo a vivere, sarebbe anche opportuno che ne venga in qualche modo salvaguardato il ricordo con l’inserimento del suo nome nella toponomastica della zona, affinché uno dei simboli principali della storia di Roncadelle non venga cancellato per sempre dalla memoria locale.