RESISTENZA
Il malcontento, che per anni aveva serpeggiato sotto il regime fascista senza trovare sfogo, si trasformò in una netta e diffusa opposizione al regime, soprattutto dopo l’8 settembre 1943, quando divenne evidente che il regime era al tramonto e che occorreva ricercare la pace e la libertà.
Anche a Roncadelle la popolazione cominciò a manifestare un crescente risentimento verso i rappresentanti locali del fascismo (v.), ormai identificato come il vero responsabile dei lutti, delle privazioni e della disastrosa situazione generale creata dalla guerra.
A poco valse il tentativo delle autorità fasciste di recuperare l’appoggio popolare riproponendo gli ideali rivoluzionari del movimento originario. La Repubblica Sociale di Salò, puntellata dalle truppe tedesche, venne vista come l’ultimo ostacolo per un ritorno alla democrazia e alla dialettica politica. Anche tra gli iscritti al Fascio si registrarono defezioni e prese di distanza, a volte opportunistiche.
Mentre si andavano costituendo le formazioni partigiane, a Roncadelle si cominciò ad organizzare un movimento di resistenza, cui diede un contributo decisivo Scipione Guaineri, proprietario del castello (v.). Col nome di battaglia “Ronca”, il Guaineri divenne il riferimento delle Fiamme Verdi (brigata X Giornate) per la zona di Roncadelle con il compito di formare un gruppo di patrioti, di distribuire la stampa clandestina e di raccogliere armi.
Nell’autunno 1943 il Guaineri fornì alloggio nella cascina del castello ad alcune decine di soldati italiani “sbandati”, ossia rimasti senza direttive e considerati disertori dalle autorità fasciste, e venne per questo denunciato dal podestà locale. Interrogato in questura, venne rilasciato dopo aver fatto presente che fornire aiuto a soldati senza guida era un dovere per un ufficiale militare quale egli ancora si considerava.
Nelle cantine sotterranee dell’ala orientale del castello, dove teneva una radio ricetrasmittente e dove depositava le copie da distribuire del periodico clandestino “Il Ribelle”, il Guaineri ospitò poi alcuni rifugiati politici (tre o quattro ebrei, il capitano di cavalleria Gobbio, due repubblicani) e tre piloti nordamericani, i cui aerei erano stati abbattuti a poca distanza da Roncadelle.
Nel novembre 1944 si stabilì a Roncadelle un comando tedesco col compito di costituire una base logistica per l’assistenza tecnica e manutenzione degli automezzi militari. Si trattava di una ventina di uomini, che presero possesso del palazzo vecchio del castello come alloggio, della cascina adiacente, utilizzata come deposito di camion militari, e della cavallerizza (ora cinema parrocchiale), trasformata in officina meccanica molto attrezzata.
Nella primavera del 1945 il gruppo di resistenza locale, formato (oltre che dal Guaineri) da Mario Raineri, Giovanni Buratti, Pietro Baldassarri, Angelo Bertoli, Paolo Bettinzoli, Francesco Archetti, cercava di boicottare in ogni modo l’attività dei tedeschi inserendo, ad esempio, della limatura di ferro nei cilindri dei motori per renderli inutilizzabili o spostando i cartelli indicatori per indirizzare i tedeschi in direzioni sbagliate. Ma l’attività principale del gruppo, che si andava infoltendo, era quella di procurarsi armi in vista della battaglia finale, che si prevedeva vicina e cruenta.
Nell’aprile del 1945 un ufficiale tedesco si accorse dell’attività antifascista del Guaineri e, prima di deciderne l’arresto, volle compiere un viaggio a Milano per un riscontro delle prove. Qualcuno applicò allora un fazzoletto rosso alla sua automobile per segnalarne la pericolosità ai partigiani e l’ufficiale venne ucciso nei pressi di Ospitaletto.
In quei giorni i soldati tedeschi scavarono diverse buche nel parco del castello per poter opporre una resistenza armata ad attacchi organizzati e, avendo ricevuto l’ordine di distruggere il castello in caso di ritirata, applicarono varie cariche esplosive alla struttura. Decisivo per la salvaguardia del castello si rivelò l’atteggiamento del maresciallo Max, che aveva familiarizzato con alcuni residenti locali. Quando l’insurrezione generale del 25-26 aprile costrinse il comando tedesco ad abbandonare precipitosamente la propria postazione di Roncadelle, il maresciallo non fece esplodere le mine (forse anche per il sollecito intervento del parroco, don Carlo Vezzoli) e alcuni roncadellesi gli fornirono abiti civili, che gli consentirono una fuga più sicura e, forse, la salvezza. Gli altri soldati del comando, partirono precipitosamente da Roncadelle lasciando parecchi autocarri e attrezzature rese inservibili, ma vennero catturati a S. Eufemia e crudelmente bruciati con un lanciafiamme dagli americani.
Il castello diventò in quei giorni la roccaforte degli insorti, che si impossessarono di tutto il materiale abbandonato dai tedeschi, comprese alcune armi e bombe a mano.
In quelle ultime, convulse giornate di guerra avvennero anche a Roncadelle scontri armati.
La mattina del 26 aprile i partigiani a Villa Nuova cercarono di limitare il più possibile il saccheggio del magazzino di tabacco del podestà Mario Lombardi, iniziato dai tedeschi in fuga e proseguito poi da gente del paese e dei dintorni. Il ventenne Giovanni Lombardi, figlio del podestà, cercò di fermare una colonna di tedeschi in fuga sull’autostrada presso Villa Nuova per chiedere loro di interrompere il saccheggio, ma venne ucciso evidentemente per un malinteso, mentre il patriota Ettore Civettini rimase ferito.
Il 27 aprile i patrioti recuperarono armi da una pattuglia tedesca e da alcuni fascisti.
Nel pomeriggio del 28 aprile un gruppo di 25 tedeschi in formazione di guerra stavano raggiungendo il castello non sapendo che era in mano ai patrioti. Ne nacque uno scontro armato: due di loro rimasero uccisi e cinque feriti, mentre rimase sul terreno anche il patriota Enrico Pellini. Un altro soldato tedesco era stato ucciso nella Contrada di Sotto da un certo Aurelio.
La mattina del 29 aprile, un altro scontro a fuoco presso l’autostrada causò la morte di tre soldati tedeschi e il ferimento del volontario Luigi Azzolini.
Alla fine dei combattimenti, si registrò la morte di tre patrioti locali: Amedeo Simonini (51 anni), Enrico Pellini (33 anni) e Carlo Stornati (36 anni). E vennero sepolti nel cimitero di Roncadelle anche quattro giovani soldati tedeschi: Franz Stadler (26 anni), Ludolf Colditz (23 anni), Helmut Kreiselmaier (21 anni) e Bernhard Schneider (19 anni).
Vi furono anche altri partigiani roncadellesi che sopravvissero alla bufera di quel periodo e che meritano di essere ricordati, come Carmelita Trainini, che a 21 anni divenne staffetta partigiana nella 122.a Brigata Garibaldi con l’incarico di tenere i collegamenti con Milano e poi con Bergamo, finché nel settembre 1944 venne arrestata e incarcerata, prima a Canton Mombello, dove venne picchiata e torturata, e poi a S. Vittore a Milano, da dove venne rilasciata nell’aprile 1945.
La Casa del Fascio (v.) venne occupata dal Comitato di Liberazione locale, che vi trascinò a forza alcuni caporioni e picchiatori fascisti, chiedendo ai cittadini che avevano subìto angherie di vendicarsi, ma alcuni di questi, con senso di umanità e responsabilità, preferirono soprassedere. Lo stesso Scipione Guaineri, pur avendo più volte rischiato la vita per la sua attività antifascista, si adoperò per evitare che il desiderio di giustizia degenerasse in vendette private o in linciaggi agli esponenti fascisti locali, orientando il movimento di liberazione verso una umanitaria pacificazione. Egli contribuì alla nascita della nuova realtà democratica di Roncadelle guidando la giunta comunale provvisoria in attesa delle elezioni del 1946, che ridiede il voto ai cittadini estendendolo anche alle donne.