GUERRE

Giovedì, 8 Maggio, 2025 - 10:00
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Cultura e Sport
Data pubblicazione: 
Giovedì, 8 Maggio, 2025
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Una delle calamità più temute dalla popolazione è sempre stata la guerra. Sapendo quanto potesse essere dannosa alla vita, scatenando i peggiori istinti dell’uomo e comportando un immancabile seguito di tragedie, violenze di ogni genere e distruzioni, si cercava di scongiurarne l’arrivo con preghiere e invocazioni, ma periodicamente essa arrivava, come le pestilenze, come la carestia, vere maledizioni contro cui ci si sentiva impotenti.

Come sobborgo di Brescia, Roncadelle risentì per vari secoli di ogni assedio alla città, come anche delle cruente lotte tra fazioni cittadine, dei passaggi di eserciti, che a volte vi si accampavano, per non parlare delle bande armate che, in alcuni periodi, scorrazzavano liberamente sul territorio. E la popolazione locale fu costretta a subire periodiche requisizioni, saccheggi e devastazioni. Non sempre le cascine o il castello potevano offrire una sicura protezione; spesso non restava che riparare in fretta nella più sicure mura della città. Ricordiamo gli avvenimenti più tragici o più preoccupanti, che coinvolsero in qualche modo il territorio e la popolazione di Roncadelle.

 

Nel 452 d.C. gli Unni di Attila portarono distruzione a Brescia e nelle terre vicine. Tracce del loro passaggio sono i resti delle domus incendiate, su cui sorgerà poi il monastero femminile di S. Giulia.

Dal 535 al 553 la lunga guerra tra Goti e Bizantini portò rovine, oltre che carestie e pestilenze, e causò l’abbandono di gran parte della campagna.

Nel 569 i Longobardi, dopo aver occupato Brescia, si appropriarono del territorio circostante espropriando i maggiori possidenti e asservendo i contadini, costretti a versare un terzo dei raccolti. Chi si opponeva al loro dominio veniva ucciso.

Dal 904 al 934 le numerose scorrerie degli Ungari, che saccheggiarono la città e il territorio, costrinsero la piccola comunità locale a costruire, come estrema difesa, una torre di guardia e delle palizzate.

Nell’estate del 1158, per restaurare l’autorità imperiale, Federico I detto “Barbarossa” scese in Italia con un poderoso esercito e assediò Brescia, che orgogliosamente non voleva sottomettersi. Il territorio circostante venne depredato e devastato. Per colpire in profondità la popolazione, fiaccandone anche il morale, l’esercito non si limitò ad incendiare i centri abitati, ma fece scempio delle coltivazioni e degli alberi da frutto, tagliando anche le viti. Molta gente dalla campagna cercò rifugio nella città. I soldati piantarono le tende nel bel mezzo dei campi coltivati e portarono via tutto quello che potevano. I danni inferti alle coltivazioni agricole ebbero conseguenze durature.

Nel 1238 l’imperatore Federico II di Svevia decise di assediare Brescia, una delle quattro città della seconda Lega Lombarda che rifiutavano di sottomettersi alla sua autorità. L’esercito imperiale, composta da oltre 15.000 uomini, l’11 luglio pose il campo ad ovest di Brescia, tra il Mella e le mura cittadine e cercò di isolare la città attaccando i centri del contado e occupando le vie di collegamento con le province limitrofe. I cittadini bresciani idonei alla guerra, che ammontavano ad alcune migliaia di uomini, opposero una strenua resistenza. I contendenti si intimorirono a vicenda con il crudele e ostentato massacro di prigionieri di guerra. Dopo alcuni assalti falliti, vedendo di non riuscire nel suo intento prima della stagione invernale, l’imperatore tolse l’assedio il 9 ottobre.

In vista dei possibili danni procurati dalle guerre e dalle scorrerie, soprattutto nei secoli XIII-XIV, diventò consuetudine introdurre nei contratti agrari (v.) anche la clausola della sospensione o della riduzione del canone in caso di danni irreversibili alle colture.

La cruenta lotta tra guelfi e ghibellini locali e, soprattutto, il lungo assedio dell’imperatore tedesco Enrico VII alla città di Brescia dal 19 maggio al 18 settembre 1311, concluso con la resa della città, ebbero conseguenze devastanti nella campagna circostante. Tanto che in una investitura dei beni di S. Giulia a Roncadelle nel 1315 si faceva salva la deroga al pagamento del canone solo nel caso fosse in atto una guerra in città o nella diocesi per tutto il tempo che sarebbe durata “dictam gueram”.

Nella prima metà del ‘400, il passaggio del territorio bresciano dal dominio milanese a quello veneto non avvenne pacificamente; e anche Roncadelle dovette subire requisizioni e devastazioni ad opera degli eserciti in conflitto. Edificandovi il castello (v.), i Porcellaga vi realizzarono un ricetto per la salvaguardia dei loro raccolti, degli animali e dei dipendenti, ma non sempre risultò sufficiente.

Nel 1431 il condottiero Niccolò da Tolentino, coi suoi 1200 cavalli, si accampò tra Roncadelle e Onzato, appena fuori dalle Chiusure (v.), e si fece rifornire di cibi, bevande e candele dalla città, oltre che dalle cascine limitrofe.

Ma l’avvenimento più drammatico di quel periodo fu indubbiamente il duro assedio imposto dal condottiero visconteo Niccolò Piccinino alla città di Brescia nel settembre del 1438. All’avvicinarsi dell’esercito “ogno homo fugiva per modo che in trei zorni tutto da circo a Brescia a otto millia non romagnì pur uno solo cane in le terre, che ogni cosa non fuzisse a Brescia” scrisse nella sua Cronica Cristoforo da Soldo. Dal 25 settembre al 3 ottobre il Piccinino rimase accampato a Roncadelle probabilmente rimasta deserta. Poi, in dicembre, vedendo di non riuscire a prevalere, trasformò l’assedio in un lungo blocco intorno alla città. Nel giugno 1439 il condottiero Taliano del Friuli, che controllava la zona suburbana con i suoi duemila cavalieri, si accampò a Roncadelle. Furono incendiati i sobborghi e devastate le campagne, al punto che scarseggiarono i viveri e la legna da ardere: “La gente non viveva quasi se non de herbe silvatice, de lumage, de carne de cavalli. E anchora fu de quelli che manzò de li cani e de li sorzi e de altre cose triste”. Brescia rimase isolata fino al 20 aprile 1440. Il sopraggiungere di una pestilenza dimezzò poi la popolazione della città (da 30.000 abitanti a circa 15.000). I Porcellaga (v.), oltre a distinguersi nella difesa delle mura, rifornirono gratuitamente la città di prodotti alimentari provenienti dai loro allevamenti e dalle loro scorte private e, finito il lungo assedio, ebbero da Venezia e dalla città di Brescia ampi riconoscimenti e ricompense economiche.

Il 30 settembre 1448 Francesco Sforza alla testa delle truppe milanesi, muovendo da Trenzano per attaccare Brescia, passò da Roncadelle costringendo la popolazione locale a cercare rifugio altrove e si accampò davanti alle mura occidentali di Brescia con 10.000 cavalli e molti fanti.

Con la pace di Lodi (1454) si raggiunse finalmente una certa tranquillità sotto il dominio di Venezia, anche se le manovre militari si ripresentavano periodicamente sul territorio locale; nel luglio 1484 il condottiero Roberto di Sanseverino, al comando delle truppe venete, si ritirò a Roncadelle.

Dopo la sconfitta di Venezia ad Agnadello, il 23 marzo 1509 il re di Francia Luigi XII entrò in Brescia da Porta S. Nazaro con 20.000 soldati. Iniziò così un turbolento periodo, che vide truppe contrapposte affrontarsi sul territorio bresciano ed il cruentissimo sacco di Brescia del 19 febbraio 1512 ad opera di Gaston de Foix. Vero terrore seminarono nel giugno 1512 le scorrerie di truppe francesi sul territorio intorno alla città, come ricorda il diario di Bartolomeo Palazzi.

Ritornato sotto il dominio veneto, il territorio bresciano godette poi di un lungo periodo di pace, anche se funestato da periodiche carestie (v.) e pestilenze (v.), da calamità naturali (v.) come le frequenti esondazioni del Mella e gli eccessi climatici, nonché dalle prepotenze di alcuni signorotti locali.

La guerra di successione spagnola tra le grandi potenze europee coinvolse pesantemente il territorio bresciano, poiché la Repubblica di Venezia, esausta per le guerre contro i Turchi e già in evidente declino, si dichiarò neutrale, ma concesse agli eserciti in lotta la possibilità di attraversare il proprio territorio purché rispettassero i “luoghi chiusi”, ossia le città murate. Nell’agosto 1701 il castello di Roncadelle, divenuto palazzo Martinengo Colleoni (v.), ospitò il principe Eugenio di Savoia al comando dell’esercito imperiale (34.000 uomini), che si accampò nella campagna verso Torbole. L’episodio è ricordato dall’affresco di Giuseppe Merati su una parete interna del castello (v.).

Ma dopo la battaglia di Chiari, in cui gli imperiali sconfissero i franco-ispani, i due eserciti continuarono ad affrontarsi sul territorio bresciano provocando violenze e requisizioni, di cui rimane traccia nelle richieste di rimborso presentate dai proprietari di Roncadelle alle autorità venete, che ammontavano ad oltre 47.000 lire. Si trattava complessivamente di 528 carra di fieno, di 15 some di frumento, 348 some di “minuto”, 295 some di melga, 38 carra di stoppia, 378 zerle di vino e 360 di uva, 43 carra di legna. Vennero dissipati ben 542 piò di pascolo e tagliati alberi a centinaia. Furono inoltre requisiti, oltre alle poche armi da fuoco, numerosi attrezzi, capi di vestiario, coperte, tovaglie, lenzuola, posate, pentolame, bicchieri, catene, sacchi, corde, animali da cortile, pali delle viti, ecc.

Il 3 febbraio 1705, dopo una memorabile nevicata, 3000 soldati francesi accampati a Roncadelle, dove effettuarono devastazioni e saccheggi, vennero attaccati da 2000 soldati tedeschi e costretti alla fuga. Lo scontro, che avvenne presso il ponte sul Mella, causò la morte di 150 francesi e il ferimento del generale Lautrec che, trasportato a Brescia, morì poche settimane dopo. La truppa francese in precipitosa fuga abbandonò “carri carichi di rame, biancaria e fieno”, che furono restituiti alla popolazione.

Il 22 giugno 1705 Roncadelle e Torbole furono invase da 40.000 imperiali, mentre il principe Eugenio di Savoia prendeva alloggio nella villa dei nob. Palazzi a Torbole, dalla quale ripartì due giorni dopo per affrontare i francesi accampati presso Manerbio. Nel 1706 vi furono nuove scorribande soldatesche sul territorio locale.

Il territorio bresciano risentì anche dello scontro amato tra Francia e impero austriaco alla fine del ‘700. Il 26 maggio 1796, dopo la battaglia di Lodi, le truppe napoleoniche (200.000 uomini) si diressero verso Brescia e si accamparono a Torbole per tre giorni. Tre anni dopo, il 28 aprile 1799, inseguendo i francesi in ritirata, il generale austriaco Melas pose il suo quartier generale a Torbole creando paure e disagi tra la popolazione locale.

Ma a preoccupare maggiormente la popolazione fu l’introduzione nel 1802 della leva obbligatoria per quattro anni, adottata dalla Repubblica italiana napoleonica per i maschi di età compresa tra i 19 e i 25 anni, esonerando solo gli uomini già sposati o con particolari menomazioni. Ciò comportava

infatti un notevole sacrificio per molte famiglie, soprattutto contadine e artigiane. Pur escogitando vari espedienti per evitare la coscrizione (fuga, piccole mutilazioni procurate, sostituzioni a pagamento, certificati di parroci, ecc.), molti giovani furono costretti a far parte dell’armata napoleonica e una parte di loro non fece più ritorno.

La sconfitta definitiva di Napoleone nel 1815 comportò il ritorno degli Austriaci a Brescia. Ma lo spirito della rivolta, sopito per oltre 40 anni, si riaccese con violenza nel 1849, quando sembrava che i Piemontesi stessero per liberare la Lombardia. La battaglia della città contro gli occupanti austriaci si protrasse per dieci giorni. È molto probabile che anche alcuni roncadellesi abbiano partecipato a quelle storiche Dieci Giornate, ma non abbiamo documentazione in merito. Di certo vi partecipò il giovane universitario bresciano Rodolfo Rodolfi, divenuto poi sindaco di Roncadelle.

Alle guerre d’indipendenza parteciparono alcuni roncadellesi come volontari, che vennero inquadrati nell’esercito piemontese. Ad esempio Paolo Facchi militò nella 2° Brigata Lombarda della V divisione guidata dal generale Gerolamo Ramorino, che partecipò alle operazioni militari precedenti alla rovinosa battaglia di Novara (23 marzo 1849), persa dai Piemontesi anche per responsabilità di quel generale, che non rispettò la strategia definita dai suoi superiori. I fratelli Tiziano e Luigi Buratti parteciparono alla seconda guerra d’indipendenza nel 1859. Altri roncadellesi (come Giuseppe Pellegrini) corsero in aiuto di Garibaldi con l’esercito di Vittorio Emanuele II nell’estate del 1860, quando l’eroe dei due mondi aveva già occupato Napoli.

Dopo l’unità d’Italia, il servizio di leva obbligatorio (già adottato dal Regno di Sardegna nel 1854) fu esteso a tutto il Regno d’Italia per garantire la capacità di mobilitazione di un congruo numero di uomini in tempi brevi (Legge 22 agosto 1861 n. 223) e dal 1865 ogni Comune era tenuto a formare le “liste di leva”, in cui venivano iscritti tutti i giovani maschi al compimento del 17° anno di età. Fu così che molti giovani vennero inquadrati nell’esercito italiano. Furono almeno tredici i roncadellesi che parteciparono alla terza guerra d’indipendenza per la liberazione del Veneto dall’Austria nel 1866.  E nel 1870 il roncadellese G. Battista Prandelli partecipò alla spedizione per la liberazione di Roma.

Le guerre più tragiche per la popolazione locale sono state però quelle del ‘900, che hanno causato almeno 70 caduti (v.) tra i combattenti di Roncadelle.

Roncadelle ha dato infatti il proprio contributo di sangue e di sofferenze sia alla guerra del 1915-18 (l’inutile strage, come fu definita da Benedetto XV), che fornì comunque alle classi sociali subalterne la coscienza delle proprie potenzialità e grandi speranze di riscatto, sia alle disastrose guerre volute dal Fascismo (v.), sia alla guerra di Liberazione (v.).

La prima guerra mondiale mandò al fronte circa 300 soldati roncadellesi e costò la vita ad almeno 38 di loro. Erano quasi tutti giovani, quasi tutti contadini o operai; alcuni erano sposati e avevano figli. Due di loro (Luigi Locatelli e Carlo Manenti) morirono poco dopo la fine del conflitto in conseguenza di malattia o ferite contratte in guerra. Tra i “ragazzi del ’99” chiamati alle armi, c’era Pietro Corsini, ucciso a 19 anni, che venne sepolto presso Asiago.

Negli anni successivi Roncadelle pianse altre due vittime di guerra (nel 1936 in Africa Orientale e nel 1938 in Spagna) e circa 30 caduti nella seconda guerra mondiale e conseguente guerra di Liberazione. I loro nomi sono quasi tutti ricordati sul monumento ai Caduti, accomunati dalla stessa tragedia e dal commosso abbraccio della comunità locale, che ne commemora ogni anno il sacrificio.

Il servizio di leva obbligatorio in Italia è stato sospeso dal 1° gennaio 2005, dopo 60 anni di pace in un’Europa divenuta simbolo di convivenza democratica.