ROMANINO

Tra gli artisti che hanno lavorato a Roncadelle nei secoli passati, merita sicuramente un posto d’onore il Romanino, protagonista del rinascimento bresciano, che, su invito dei Porcellaga, vi ha soggiornato in due periodi: la prima volta per affrescare la chiesa di S. Bernardino, la seconda per affreschi nel castello.
Era già molto noto Girolamo da Romano, detto “Romanino”, quando venne a Roncadelle ad affrescare la chiesetta di san Bernardino. Oltre che nel Bresciano, aveva eseguito affreschi a Padova, a Cremona e in altre località lombarde. La sua bottega costituiva un riferimento sicuro per gli apprendisti pittori, alcuni dei quali stavano acquistando una certa fama in Lombardia. Il suo stile, definito poi “dialettale”, che manifestava una profonda inquietudine ed una fierezza sanguigna e istintiva, ne definì il carattere e lo rese sempre vivo e attuale.
Il pittore aveva buoni rapporti con i Porcellaga (v.), sia con Bartolomeo, che gli fece affrescare il nuovo palazzo di famiglia a Brescia (ora in via Cairoli n. 5), sia con i signori di Roncadelle, dai quali aveva ottenuto in affitto un “cortivo a Cobiato” con un brolo di circa due piò e per i quali dipinse un “Martirio di S. Caterina d’Alessandria”. E furono questi a chiedergli di affrescare la chiesa (v.) di san Bernardino, di cui avevano appena acquistato il giuspatronato e che era destinata a diventare il principale riferimento religioso della comunità locale. Non sappiamo se sia stato Gian Francesco (morto nel 1527) o il figlio Galeazzo a concordare con lui il lavoro da eseguire; sappiamo però che Galeazzo nel 1534 si dichiarò debitore di 138 lire e 3 soldi nei confronti del Romanino. Si tratta di una cifra piuttosto consistente (basti pensare che per affrescare tutta la chiesa di Pisogne, nello stesso periodo, pattuì un compenso di 150 lire). Evidentemente in quel periodo (intorno al 1530) il Romanino non realizzò solo la pala d’altare rimasta, ma anche altri affreschi, di cui non è rimasta traccia.
Il dipinto, che funse da pala dell’altare maggiore fino all’ampliamento della chiesa alla fine del ‘600, è stato strappato dalla parete originaria nel 1962 per salvarlo da sicura distruzione. Rappresenta quattro Santi ai piedi della Madonna col Bambino: le due figure ai lati, san Rocco e san Sebastiano (le stesse che il Romanino aveva ritratto pochi anni prima nella cappella di san Rocco a Villongo) rappresentano la devozione popolare contro le frequenti pestilenze; in primo piano sono invece raffigurati san Bernardino, patrono locale, e san Domenico, particolarmente caro ai committenti.
L’attribuzione dell’affresco al Romanino è ormai generalmente accettata dagli esperti, soprattutto per le concordanze stilistiche con altre opere del pittore.
Più controversa è invece la paternità della tela della “Natività”, conservata nella stessa chiesa sopra il terzo altare laterale destro. Questa tela infatti, pur recando l’inconfondibile impronta del Romanino, è sempre stata inserita con qualche perplessità nel catalogo delle sue opere. E alcuni critici vi hanno ravvisato la mano di Francesco Prata, un pittore di Caravaggio, che frequentò a fasi alterne la bottega del Romanino e utilizzò alcuni disegni del maestro; “L’adorazione dei pastori” nella chiesa di Bedulita (BG) eseguita dal Prata ricalca infatti, con qualche variante, lo stesso disegno del dipinto di Roncadelle, il quale a sua volta ricalca il disegno a sanguigna conservato nel Museo delle Belle Arti di Budapest ed attribuito al Romanino.
La tela raffigura al centro Maria e Giuseppe in umile e devota adorazione del Bambino, attorniati dalla presenza di due pastori, dei tradizionali bue e asinello e di vari angioletti. La scena emana un senso di compostezza e di mistica quiete, pur nella vivacità di alcuni particolari: il Bambino che sgambetta, l’angelo che accarezza il muso del bue. Inconfondibile è il linguaggio del Romanino, sempre connotato da un forte senso della realtà quotidiana.
Il Romanino venne ancora a Roncadelle circa trent’anni dopo, nell’ultimo periodo della sua esistenza, per affrescare “la sala in castello” ed altre stanze, come risulta dai registri contabili dei Porcellaga, che riportano un debito nei confronti degli eredi del Romanino. Ma quei dipinti rimangono avvolti nel mistero: sono forse andati distrutti con il rifacimento dell’ala orientale del castello (v.) alla fine del ‘600.
Nel ‘500 e nel ‘600 Roncadelle espresse poi un fervore edilizio e artistico senza precedenti e vi vennero chiamati anche altri artisti eccellenti, che proseguirono il “rinascimento artistico” roncadellese, a cui il Romanino aveva dato un forte impulso e un alto profilo artistico.