FASCISMO
La grande guerra (v.) del 1915-18, a cui anche Roncadelle diede il proprio contributo di sangue e di sofferenze, aveva fornito alle classi sociali subalterne la coscienza delle proprie potenzialità e suscitato grandi speranze di riscatto, ma creò anche forti tensioni sociali. La nascita dei “fasci di combattimento”, gli scontri di piazza tra le opposte fazioni politiche, gli scioperi dei contadini e degli operai, l’occupazione delle fabbriche, le intimidazioni delle “squadracce” fasciste contro i socialisti e i circoli cattolici, l’ansia di rivincita da parte degli agrari e degli industriali, il crescente desiderio di ordine da parte dei ceti medi erano manifestazioni di un diffuso malessere sociale, che rese l’Italia ingovernabile.
Nelle elezioni amministrative del 31 ottobre 1920, a Roncadelle una lista di ispirazione socialista riuscì a sconfiggere la lista dei possidenti e dei moderati, che da tempo gestiva il Comune (v.). La volontà di cambiamento dovette però ben presto fare i conti con l’inesperienza, le divisioni interne, le pressioni esterne. La nuova Giunta, guidata da Giacomo Trainini, intendeva attuare alcuni interventi pubblici a favore della popolazione, soprattutto nel campo dell’assistenza sociale e dell’istruzione pubblica. Ma subito cominciarono i problemi. Per riassestare le finanze comunali, trovate in uno “stato disastroso”, i nuovi amministratori decisero di aumentare le imposte locali. Ciò provocò la decisa opposizione dei possidenti e degli esercenti locali, che fecero pressioni a vari livelli perché la deliberazione non potesse aver corso.
Tra i risultati raggiunti dalla Giunta, particolarmente significativa fu l’istituzione di due nuove classi elementari e di una scuola serale per adulti analfabeti. Sulla spinosa questione dell’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche, la Giunta prese una posizione laica stabilendo che non si dovesse tenere in classe, ma eventualmente in chiesa, suscitando così l’opposizione della parrocchia. All’interno stesso della maggioranza si crearono scontri e polemiche, tanto che il sindaco fu costretto a dimettersi nell’estate del 1921 e sostituito da Angelo Civettini.
Le evidenti difficoltà della Giunta sarebbero probabilmente state superate se non fosse sopravvenuto un radicale cambiamento del quadro politico generale: la crisi dello Stato liberale si acuì infatti proprio in quel periodo, tra le scissioni dei socialisti, gli ondeggiamenti dei cattolici e la rapida affermazione dei fascisti che, sovvenzionati dagli agrari e appoggiati da gran parte dei ceti medi, attraverso l’uso sistematico della violenza, arrivarono al governo nel novembre del 1922.
Ciò che accadeva su scala nazionale si riprodusse nel microcosmo locale. Anche se i più responsabili cercarono di calmare le acque, avendo capito che l’esasperazione ideologica non aiutava certo l’ancora fragile costruzione democratica, la tensione sociale in paese andò aumentando; le minacce e le intimidazioni divennero sempre più pesanti. Una sera, nei pressi del castello, l’ex sindaco Trainini venne proditoriamente aggredito e gravemente ferito alla testa da una coltellata: tramortito e sanguinante, egli sarebbe andato incontro alla morte se non fosse stato soccorso tempestivamente.
I tempi stavano cambiando e la legalità non era più garantita, neanche nei confronti dei rappresentanti istituzionali: l’assessore Giovanni Zucchi preferì emigrare in Francia e la maggioranza in Consiglio comunale si andò sfaldando: alcuni sposarono la causa fascista, altri si defilarono prudentemente. Il Comune venne commissariato e, dopo nuove elezioni, dal settembre 1923 fu gestito da Mario Lombardi, proprietario della grande azienda agricola di Villa Nuova (v.), affiancato dagli assessori Paolo Dusi e Giulio Dolci, mentre alcuni possidenti locali preferirono tenersi in disparte.
Era iniziata, anche per Roncadelle, l’era fascista.
Il 20 maggio 1924 si deliberò di conferire la cittadinanza onoraria di Roncadelle a Benito Mussolini. In quel periodo quasi tutti i Comuni italiani presero questa decisione aderendo ad una direttiva nazionale derivata dall’iniziativa del Comune di Roma di offrire la cittadinanza onoraria al Presidente del Consiglio e “grande Duce”. Mussolini aveva appena vinto le elezioni politiche del 6 aprile segnate da violenze e brogli, che Giacomo Matteotti osò denunciare e che per questo venne assassinato.
Nella primavera del 1926 il Consiglio comunale si autosciolse, in conformità ad una nuova norma legislativa che intendeva cancellare ogni forma di partecipazione e rappresentanza democratica, sostituendo i sindaci con i podestà nominati dai prefetti, come ai tempi di Napoleone. E Mario Lombardi ottenne la nomina a podestà il 14 maggio 1926.
In quel periodo vennero proibiti scioperi e serrate: solo i sindacati fascisti potevano rappresentare i lavoratori nei contratti collettivi di lavoro. Vennero chiusi i giornali critici col regime, sciolti i partiti e le organizzazioni non fasciste e avviata una violenta repressione contro gli oppositori. Persino i fascisti della “prima ora” venivano tenuti sotto controllo, perché risultavano indocili e turbolenti.
Nel 1927, col raggiungimento di “quota 90” della lira nei confronti della sterlina, vennero ridotti stipendi e salari di almeno il 10% e furono concessi sgravi fiscali ai grandi proprietari terrieri.
Mentre la maggioranza della popolazione stava a guardare, si manifestò anche a Roncadelle una certa resistenza al regime totalitario che si andava affermando; ma l’uso spregiudicato della violenza, del ricatto e della lusinga, riuscì a mettere a tacere ogni dissenso.
Il fascismo non ebbe infatti un’unica faccia. Oltre ad un’ambiguità ideologica, che riuscì a far convivere aspirazioni opposte, a Roncadelle esso si presentò sia sotto la facciata autoritaria e paternalistica del podestà, che rispondeva con sollecitudine alle richieste dei concittadini, come a quelle dei propri dipendenti, purché stessero alle regole; sia sotto l’aspetto cruento dei picchiatori, che organizzavano spedizioni punitive (chiamando spesso ad eseguirle una squadra di Castegnato) o vere persecuzioni nei confronti dei pochi che non intendevano scendere a compromessi col regime; sia sotto l’aspetto opportunistico, forse il più diffuso; e, addirittura, sotto l’aspetto fideistico di quanti credevano (come il segretario politico del Fascio locale) che bisognasse “lavorare sodo e con entusiasmo, ben sapendo che il premio è sempre più grande di quello che possiamo meritarci: la tacita riconoscenza del Duce”.
Tra la popolazione vennero diffusi, anche tramite scritte sui muri, facili slogan con lo scopo di adeguare la mentalità dei cittadini a quella del regime. Nella Contrada di Sotto, sull’angolo della via Cismondi, campeggiò a lungo la scritta “È l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende”. Attraverso le associazioni fasciste e varie iniziative si voleva educare il cittadino al senso della disciplina e all’obbedienza.
Le frizioni tra i fascisti e la borghesia locale vennero in gran parte superate, come anche con la parrocchia. Don Giacomo Contessa (parroco dal 1927 al 1944) seppe tenere a freno i suoi sentimenti antifascisti per senso di responsabilità, ma nell’Azione Cattolica locale, che contava 350 iscritti, era consentita una certa libertà di critica al regime, sebbene non espressa apertamente.
La “battaglia del grano”, proposta dal regime sin dal 1925, portò ad una intensificazione dell’attività cerealicola e ad una nuova maturità tecnica anche a Roncadelle, tanto che nel 1932 l’azienda di Mario Lombardi si classificò al terzo posto nella graduatoria delle grandi aziende agrarie della provincia di Brescia e nel 1935 venne premiata con la Stella d’argento di 2° grado al merito rurale.
Nel 1930 fu nominato podestà Paolo Dusi. In quel periodo il paese appariva “normalizzato” e l’amministrazione del Comune attuò alcune innovazioni e nuove trasformazioni. Si costituì il Patronato O.N.M.I. (v.) che si occupò soprattutto dell’assistenza ai bambini poveri e alle gestanti bisognose; era composto dal podestà e dal parroco, da Elisabetta Dolci Pezzana (delegata Fascio femminile), Angelo Comini (segretario politico del Fascio), Giuseppe Vecchi (giudice conciliatore), Vincenzo Treccani (ufficiale sanitario), Francesco Comini (presidente Congregazione Carità) e Antonio Malossi (maestro elementare).
Il podestà propose, senza riuscirci, di unificare la frazione Roncadelle di Castelmella (Kmq. 0,6 per 500 abitanti) al Comune di Roncadelle per evitare alcuni inconvenienti e razionalizzare i servizi.
Nel 1931 venne inaugurata l’autostrada Brescia-Bergamo, che interessava il territorio comunale di Roncadelle; fu aperto l’ufficio postale in via Municipio; e, dopo la circolare prefettizia che ordinava ai Comuni di intitolare una via non secondaria al nome di Roma con l’inizio dell’anno X dell’era fascista (28 ottobre), la via centrale del paese (allora intitolata al dott. Pietro Cismondi) venne chiamata via Roma, mentre via Municipio fu intitolata a Cismondi.
Nel 1933 si istituì la quinta classe elementare; si favorì l’allungamento della chiesa parrocchiale e venne conferita al parroco, don Giacomo Contessa, un’onorificenza con la Croce di Cavaliere della Corona d’Italia.
Nel 1935 si realizzò l’allacciamento alla rete telefonica provinciale. Iniziò, con la raccolta delle fedi nuziali, l’offerta di “oro alla Patria”, estesa poi alla raccolta di metalli per la campagna dell’autarchia. La guerra d’Etiopia comportò la partenza di alcuni soldati locali ed una vittima; mentre la successiva guerra civile spagnola provocò un altro caduto roncadellese, Angelo Cristini.
Nel 1936 venne costruita accanto al Municipio la Casa del Fascio (v.) su progetto dell’arch. Giulio Manzoni; mentre sull’altro lato di via Roma il parroco inaugurava il primo Oratorio (v.) dotato di salone teatro e di aule e frequentato da oltre 250 ragazzi dai 7 ai 15 anni.
In quel periodo il regime fascista raggiunse l’apice del consenso popolare e della propria potenza. E Roncadelle appariva in visibile trasformazione. Il Comune aveva 2.600 abitanti, un terzo dei quali viveva nelle varie frazioni. Lavoravano nell’agricoltura 370 persone, nell’industria 479, nei trasporti 35, nel commercio 78, nella pubblica amministrazione 23. I 39 artigiani locali erano inquadrati nelle relative corporazioni. I contadini lavoravano quasi tutti alle dipendenze delle grandi aziende agricole gestite da Mondini (Antezzate), Lombardi (Villa Nuova), Guaineri (Castello), Falappi (S. Giulia), Tomasoni (S. Giulina), Ferrari (Savoldo), Consoli e Turlini (contrada di Sopra). L’azienda agricola Lombardi, specializzata nella produzione di tabacco, offriva lavori stagionali a molte donne del paese. Gli operai, che costituivano la maggioranza della popolazione, lavoravano per lo più nelle vicine fabbriche cittadine (Togni, Tempini, A.T.B., Breda, O.M., Sant’Eustachio, ecc.) e ogni mattina si vedevano molte biciclette sciamare dal paese verso Brescia per tornare la sera. Gli iscritti alla scuola dell’obbligo erano circa 350, mentre gli analfabeti costituivano ancora il 7% della popolazione.
Il Fascio locale era riuscito a coinvolgere, almeno formalmente, la maggioranza dei roncadellesi. Le adesioni ufficiali andarono aumentando un po’ per convinzione, un po’ per una più o meno esplicita forma di ricatto, che faceva leva sulla precarietà del lavoro e sulle concessioni di licenze commerciali. Nel 1937 risultavano iscritti al Fascio locale 130 uomini e 37 donne, 101 giovani maschi e 27 giovani femmine. Numerose erano le adesioni alle organizzazioni dei Balilla, degli Avanguardisti e del Dopolavoro. Alla “colonia solare” partecipavano ogni anno un centinaio di bambini. E buona doveva essere anche la partecipazione al “sabato fascista” e alle varie manifestazioni di piazza.
Ma, sotto il trionfalismo di facciata, covava un certo malessere, che si poteva cogliere anche nella relazione che il segretario politico del Fascio, stese nel settembre 1937:
“Situazione politica: eccettuati alcuni elementi del Fascio e del Fascio giovanile, che occorre osservare ancora alcun tempo e quindi in caso energicamente espellere, la situazione può considerarsi ottima per tutte le organizzazioni e per tutti i ceti della nostra popolazione, la quale ha particolarmente dato ottimi segni di comprensione fascista in occasione della raccolta dell’oro, del ferro e, in genere, in occasione di tutte le manifestazioni ed adunate seguite durante il periodo della guerra d’Etiopia; è insomma una popolazione sensibile ai richiami della patria fascista, purché non sia abbandonata, purché sia diretta con amore e con energia, non dimenticando che, tra essa, vi è un fortissimo nucleo operaio che lavora in città […]”.
La politica di autosufficienza, tendente all’autarchia, comportò una riduzione dei consumi delle famiglie, forti interventi di sostegno all’industria e grossi favori alla borghesia ricca di capitali, che tratteneva i profitti delle aziende, addossando quelle in perdita allo Stato attraverso l’I.R.I. istituito nel 1933. Gli operai, sotto il continuo ricatto della disoccupazione e privi di libertà sindacale, si trovavano indifesi di fronte al potere dei datori di lavoro. Così pure i contadini, molti dei quali d’inverno rimanevano senza lavoro. Si andò allungando l’elenco dei poveri e l’assistenza comunale divenne un fondamentale strumento di consenso politico.
Nel 1938 furono emanati i primi decreti governativi contro gli ebrei “in difesa della razza italiana”: il podestà dichiarò che a Roncadelle non vi erano cittadini di origine ebraica.
Nel 1939 Paolo Dusi si dimise e Mario Lombardi tornò a ricoprire la carica di podestà.
Quando, nel giugno 1940, l’Italia entrò in guerra a fianco della Germania, la maggioranza della popolazione, istintivamente contraria alla guerra conoscendo la catena di sofferenze e tragedie che essa comporta, non si mobilitò. Vennero razionati i generi alimentari e requisiti i manufatti metallici per “esigenze di guerra”. Nel 1942 tre delle cinque campane di bronzo della chiesa parrocchiale vennero asportate per essere trasformate in cannoni.
I primi a dubitare della mitologia fascista furono proprio i fanti e gli alpini mandati in guerra senza equipaggiamenti adeguati e tornati dopo le cocenti sconfitte della Grecia, dell’Africa e, soprattutto, della tragica ritirata di Russia dell’inverno 1942-43.
Ma neanche in patria si viveva bene. Raccontava il roncadellese Ciso Salomoni (1931-2018): “La vita in quel periodo era dura. Nel periodo bellico mancava proprio il necessario. Quante volte si mangiavano le patate a pasto, per riempirci! Mi ricordo la prima volta che sono venute le fortezze volanti e hanno lanciato di notte dei bengala; avevo la finestra della camera che guardava proprio verso Brescia: un chiarore! A mia madre era venuto il batticuore, non respirava più: una paura! … Una volta di giorno hanno bombardato la Piccola [scalo merci ferroviario in via Dalmazia] e noi eravamo nei fossi; io ero salito dal fosso e sono caduto per terra per lo spostamento d’aria… A scuola il sabato si doveva andare in divisa. Quante volte mi hanno mandato a casa perché mio padre non voleva mettermela! Mio padre, quando tornava dal lavoro in bicicletta, lo aspettavano i fascisti. Non erano quelli di Roncadelle, perché qui venivano quelli di Castegnato e viceversa, in modo da non essere riconosciuti. Lui è scappato dentro il granoturco, e loro a circondare il campo… Chi non era iscritto al partito non lavorava… Dove adesso c’è il Centro Civico c’era una stanzetta della Casa del Fascio. Era stretta e sopra c’era una finestra tutta lunga con l’inferriata. E lì, quando i fascisti trovavano uno che non era a posto in qualche modo lo mettevano dentro. Non gli davano né da bere né da mangiare, e noi ragazzi ci arrampicavamo ad allungargli qualcosa”.
Il paese dovette ospitare in tempo di guerra circa 1.300 sfollati, arrivati soprattutto dalla città dopo i bombardamenti degli Alleati del 1944. Dei 320 roncadellesi spediti sui vari fronti, almeno 24 rimasero uccisi e molti feriti o segnati da esperienze drammatiche, mentre le famiglie dovettero sopportare cinque lunghi anni di ristrettezze e privazioni.
Dopo la caduta del governo Mussolini e la precipitosa fuga dalla capitale da parte del re e di molti generali, nell’autunno del 1943 cominciò ad organizzarsi un gruppo di resistenza locale (v.), supportato anche dal nob. Scipione Guaineri, contro i tedeschi occupanti e contro quel rigurgito di fascismo violento e vendicativo dell’ultima ora. La guerra di liberazione, che comportò altri 4 caduti (v.) locali, portò alla sconfitta del nazi-fascismo e al ritorno delle libertà democratiche.