CENTURIAZIONE
Uno dei lasciti più importanti dei Romani (v.) è stata l’organizzazione del territorio finalizzata al suo sviluppo produttivo ed effettuata soprattutto con la limitatio o centuriatio, ossia la suddivisione geometrica dei terreni in un reticolato regolare, sulla base di linee chiamate decumani (orientato da ovest a est) e cardini (con orientamento nord-sud). Mediante la centuriazione, gli agrimensori romani hanno dato al territorio locale un’impronta di grande impatto ambientale, che non si è più cancellata.
La prima centuriazione del territorio bresciano, effettuata dopo l’89 a.C. per opera dell’aristocrazia cenomano-romana di Brescia, interessò gran parte della pianura occidentale (da Castelcovati a Torbole, da Pompiano a Boldeniga), che venne chiamata ager farraticanus perché destinata in gran parte alla coltivazione del farro. L’alta pianura era ritenuta poco adatta alla centuriazione a causa della forte pendenza del terreno e della povertà d’acqua.
La limitatio consisteva nella suddivisione regolare e sistematica del territorio in grandi quadrati, che misuravano 20 actus (ca. 712 metri) per lato. Era detta anche centuriatio perché inizialmente da ogni quadrato principale si ricavavano 100 heredia (appezzamenti di circa 5000 mq ognuno), che venivano assegnati per sorteggio alle unità produttive (familiae) interessate; ma successivamente le centurie vennero divise tra pochi assegnatari: ogni centuria (200 iugeri romani = 50 ettari circa) veniva infatti assegnata a 6-7 famiglie di coloni o ad un unico possidente cittadino. Ad ogni famiglia di coloni veniva quindi assegnato un podere (sors) di circa 20 piò, spesso comprensivo di una zona boschiva, che rappresentava un’appendice necessaria alla vita dei lavoratori agricoli e alla produttività della possessione.
Il territorio (v.) di Roncadelle venne interessato dalla terza centuriazione, avviata dopo il 27 a.C., che si protrasse per gran parte del I secolo dell’era cristiana. Aveva un orientamento da nord-ovest a sud-est. Ma l’intervento si limitò probabilmente alla parte occidentale dell’attuale territorio di Roncadelle, in quanto le frequenti e rovinose piene del Mella (v.) sconsigliavano di estenderla oltre un certo limite di sicurezza. Alcuni studiosi ritengono di individuarne i limes nell’ottavo decumano partendo da nord e nel trentatreesimo cardine partendo da est (fiume Chiese). Le dimensioni della centuria vennero portate a 22 actus (circa 781 metri) per il lato est-ovest, mantenendo fissa la misura del lato nord-sud a 20 actus (circa 712 metri). Sul territorio roncadellese, salvaguardando le larghe fasce boschive lungo i corsi d’acqua, avrebbero potuto trovare sistemazione oltre 50 familiae di coloni, ma è lecito supporre che in realtà i poderi assegnati siano stati in numero inferiore; infatti, i maggiori possidenti (spesso membri della classe senatoria) tendevano ad accaparrarsi gran parte dei terreni e si opponevano ad ogni tentativo di esproprio o di frazionamento. Inoltre, accanto ai terreni messi a coltura, si dovevano prevedere aree di uso comune per diritti di pascolo, legnatico, ecc.
La limitatio comportò comunque un primo popolamento del territorio locale con nuovi insediamenti stanziali (veterani dell’esercito, coloni italici, schiavi dei possidenti cittadini). La capillare attività di disboscamento e di bonifica attuata dai contadini modificò il paesaggio locale (v.), aumentò la resa agricola e creò un abitato stabile, anche se ancora costituito in gran parte da casupole fatte di materiali deperibili (legno, argilla, paglia).
La centuriazione comportò anche nuovi rapporti di produzione: accanto ai conduttori diretti dei propri poderi, viveva un certo numero di schiavi, che lavorava alle dipendenze dei maggiori possidenti; anche se notoriamente poco produttivi e se il loro utilizzo impedì la ricerca di innovazioni tecniche, gli schiavi erano ancora considerati investimenti convenienti. Le familiae stanziali gestivano sia le terre comuni che la rete stradale vicinale, creando nuove forme di aggregazione sociale e costituendo una prima comunità locale sul territorio.
Cardini e decumani, che segnarono stabilmente i confini dei campi, divennero strade rurali, fossati di irrigazione e di scolo, allineamenti di filari di alberi. Alcuni di essi divennero, con leggere varianti, vie di comunicazione di una certa importanza, come la strada rurale di Santa Giulia, che collega ancora oggi Roncadelle a Travagliato, sul cui percorso sono sorte poi due cascine storiche.
Il territorio di Roncadelle cominciò dunque ad essere runcato e bonificato. Uno dei principali problemi affrontati dai coloni fu certamente quello di rendere utilizzabili le acque, particolarmente abbondanti sul territorio, ma difficilmente imbrigliabili a causa del regime irregolare dei corsi d’acqua e delle particolari caratteristiche del terreno, in parte troppo sabbioso e in parte troppo argilloso. Con piccoli scavi si favorì lo sgorgare naturale delle risorgive, le cui acque poterono essere incanalate in vasi di irrigazione; e vennero probabilmente scavati anche degli scoli di drenaggio per bonificare alcune zone acquitrinose. La trasformazione del paesaggio locale non poté però essere totale, poiché la natura stessa del suolo in alcune zone non permetteva la coltivazione ed alcune fasce boschive vennero accuratamente salvaguardate, ma si può ritenere che buona parte delle terre incolte, nel giro di alcuni decenni, siano state rese produttive.
Le aree coltivate (ager) si andarono così sempre più differenziando da quelle incolte (saltus). È quindi lecito ipotizzare che, tra il I e il II secolo d.C., il bosco e l’incolto fossero ancora prevalenti nella parte orientale del territorio locale, ma che i campi coltivati, delimitati da tracciati regolari e presidiati da piccole fattorie sparse, abbiano preso il sopravvento nella parte occidentale.
Le colture principali in quel periodo erano i cereali, i legumi e le viti. La produttività era piuttosto bassa, sia per la scarsa fertilità del terreno che per la limitata diffusione dell’avvicendamento delle colture: si è calcolato che il rapporto medio tra prodotto e semente per i frumenta fosse allora di quattro a uno. Tra i cereali, oltre al frumento, doveva essere diffuso il miglio, particolarmente resistente alle variazioni climatiche e adatto alle lunghe conservazioni.
Tenuto conto dell’ambiente naturale locale, l’allevamento principale doveva essere quello dei suini, che forniva la carne (fresca e salata) per il nutrimento della popolazione e delle legioni, ma certamente diffusi erano anche gli animali da cortile e forse l’apicoltura, che forniva l’unico dolcificante allora conosciuto.
La campagna conobbe nei secoli seguenti periodi di crisi e di rinascita, ma l’impronta data in quel periodo al territorio rimase indelebile e da quella ogni volta si ripartiva.