ARTIGIANI
Le attività artigiane, volte alla produzione di beni o a prestazione di servizi (al di fuori delle attività agricole o commerciali) sono state fondamentali nella storia di ogni comunità, anche dopo la rivoluzione industriale. E rimangono una componente essenziale dell’economia e della vita sociale.
Nei secoli più lontani le famiglie contadine svolgevano diverse mansioni: oltre alla coltivazione dei campi, dovevano provvedere alla costruzione e alla riparazione degli attrezzi, alla cura degli animali da lavoro, alla panificazione, alla preparazione e conservazione di salumi e formaggi, alla confezionatura e al rattoppo di abiti e calzature, alla costruzione di cesti e vasellame, ecc. Poi si andò sviluppando una specializzazione per ogni attività, che diede vita a diverse figure di artigiani, con reciproco vantaggio.
La comunità di Roncadelle è rimasta essenzialmente contadina fino all’inizio del ‘900, ma a partire dal Basso Medioevo è diventata sempre più articolata, sviluppando un graduale artigianato e commercio (v.). I primi artigiani di cui è rimasta notizia documentaria risalgono al ‘400. Nella Contrada di Sopra vi era il mugnaio Martino Puliselli, che nel 1409 gestiva il mulino (v.) di S. Giulia (in fondo all’attuale via S. Bernardino). Nella nascente Contrada di Sotto, dove i Porcellaga (v.) avevano fatto costruire alcune abitazioni con portico ad est dell’antica Hosteria (v.), vi erano il fabbro ferraio Bassano da Bornato, che nel 1477 ebbe in enfiteusi una casa con relativo terreno; e il calegaro (calzolaio) Michele, che nel 1496 ricevette in enfiteusi una casa con due botteghe e due piò di terra.
Dal ‘500 sono documentati molti più artigiani: oltre al mugnaio del nuovo mulino dei Porcellaga, vi erano i ferrai Bartolomeo Fachetti (in Contrada di Sotto) e Battista e Graziolo Andreoli (in Contrada di Sopra), il maringone Stefano Mariani, il calzolaro Tommaso Valotti da Trenzano, il sartóre Antonio Isabetti, un barbéro, un parolaro, uno zerlotto, oltre ad alcuni fornaciari (Giovanni de Grazi, Giovanni e Battista Ghizzoni, Battista de Marchi), che lavoravano nelle due fornaci (v.) dei Porcellaga producendo laterizi.
Ma l’attività più redditizia era quella dei “boccalari” o “scudellari”, che realizzavano piatti, scodelle, boccali e altri manufatti in maiolica, in quel periodo molto richiesti in sostituzione delle vecchie stoviglie in metallo o in legno. L’apertura delle loro botteghe a Roncadelle, che si affacciavano tutte sulla “strada regale degli Orzi”, è motivata dal fatto che vi si trovava abbondanza di argilla e di acqua (elementi indispensabili a quell’attività) e anche dalla riluttanza delle autorità cittadine ad autorizzare nuove fornaci, che periodicamente causavano incendi.
I primi “boccalari” di cui si ha notizia furono Bartolomeo Zanetti di Solarolo (Mantova) e Battista Scabusi di Longhena, che si stabilirono nella contrada dell’Osteria all’inizio del ‘500. La loro attività, che fu poi proseguita a lungo dai figli e nipoti, era favorita dal periodo di diffuso benessere e di nuova sensibilità artistica, che induceva molti benestanti a chiedere vasellame perfetto e finemente lavorato. Nella seconda metà del ‘500 si impegnarono nell’attività fittile anche Bettino Merici e G. Battista Tonetti. Tutti questi artigiani avevano già una discreta confidenza con il disegno e i pennelli, con cui decoravano le loro maioliche. L’unico vero problema era quello di affinare la produzione e lo risolsero assumendo ceramisti qualificati. Così gli Scabusi nel 1558 assunsero Vincenzo Bozi da Faenza (città che aveva una lunga tradizione nella produzione di maioliche artistiche). I loro manufatti erano ben quotati su tutto il territorio bresciano, tanto da essere espressamente citate in vari documenti notarili e inventari come “maioliche di Roncadelle”.
I “boccalari” che ebbero maggior peso nel ‘600 a Roncadelle furono i Malgaretti, che prosperarono grazie alla grande richiesta di quei manufatti e all’assunzione di valide maestranze, tra cui Antonio Cappello da Lodi. Intorno al 1630 i Malgaretti, che possedevano nella Contrada di Sotto tre immobili con orto, brolo e fornaci da maiolica, avevano accumulato nelle loro botteghe merce figularia per il valore di ben 5.500 lire plt. A testimonianza della ricchezza raggiunta da questa famiglia, ricordiamo che nel 1644 Francesco Malgaretto dispose un lascito testamentario di 2000 ducati alla locale Confraternita del Ss. Sacramento (v.). Nel ‘600 sembra che avessero bottega nella contrada anche degli orafi che, come marchio di produzione, avevano un cavallino con le iniziali del proprio nome.
In quel periodo i fabbri edili e i sarti venivano considerati “artisti”, mentre le altre attività artigiane erano chiamate “arti meccaniche” e disprezzate dalla nobiltà, che dal 1546 impedì a chi le esercitava di far parte del Consiglio cittadino. I commercianti e gli artigiani locali guadagnavano meno di quelli che esercitavano la loro attività dentro le mura cittadine, ma anch’essi avevano come modello di riferimento i cives, che erano riusciti a raggiungere posizioni sociali prestigiose grazie alla propria intraprendenza e alle proprie capacità.
Anche se non documentata fino a tempi recenti, dovette avere una certa importanza anche l’attività dei sabiunì, arenaioli che prelevavano sabbia e ghiaia dal letto del Mella, prima in modo saltuario, poi sempre più continuativamente man mano che si incrementava l’attività edilizia. I materiali raccolti venivano trasportati su carri anche in altre località. Le autorità bresciane si preoccuparono solo che tale attività non danneggiasse gli argini e i ponti lungo il fiume.
Alla metà del ‘600 gli artigiani di Roncadelle erano almeno undici: nove di essi risiedevano nella Contrada di Sotto, due (il fabbro Andreoli e il mugnaio di S. Giulia) nella contrada di Sopra.
I cambiamenti sociali e istituzionali verificatisi alla fine del ‘700 e l’aumento demografico successivo portarono all’apertura di nuove attività commerciali e artigianali, con frequenti innesti di professionisti da località esterne. La popolazione locale lavorava e traeva profitto soprattutto dall’agricoltura, ma il carattere artigianale della produzione permetteva di occupare mano d’opera nella stagione invernale, quando i lavori agricoli erano fermi. Il connubio tra agricoltura e impresa, ovvero tra gelsicoltura, bachicoltura (v.) praticata in molte case e la successiva torcitura e tessitura, richiedevano però particolari attrezzature. All’inizio dell’800 Giovanni Bonomi, proprietario di due palazzi con parco in via S. Bernardino (poi acquistati dai Berardi e dai Dusi), utilizzò alcuni suoi locali come filanda. Emersero poi altre figure di imprenditori capaci e ben integrati nella comunità locale, come (verso la fine dell’800) il capomastro Angelo Verga, che si occupò anche delle strade comunali, e la cui attività edile fu proseguita dal figlio Vittorio, cui fu affidata nel 1902 la costruzione del Municipio (v.).
Alla fine dell’800 vi erano falegnami, come Giuseppe Conti e Luigi Fisogni, che costruivano anche le casse mortuarie, o come Giovanni Tomasi, che forniva al Comune i banchi di scuola. All’inizio del ‘900 erano attivi i fabbri ferrai Gavazzi nella Contrada di Sotto e i Facchinetti nella Contrada di Sopra, il meccanico Alberti, il mugnaio Zanotti, il selciatore Chiarini, tre sarti (tra cui Pietro Marcadini, che era anche barbiere) e una sarta (Lucia Facchinetti), cinque calzolai e due zoccolai. Accanto a questi artigiani, che costituivano il ceto medio locale insieme ai negozianti e ai “fittavoli”, operavano diversi carrettieri e arenaioli (tra cui i Bosetti), operai, muratori, fornaciari.
Gli artigiani vennero poi inquadrati nelle relative corporazioni fasciste: nel 1936 risultavano 39 su una popolazione di 2.600 abitanti; e precisamente 19 in via Vittorio Emanuele (ora via Martiri della Libertà), 7 in via Cismondi, 7 in via Castello, 4 in via S. Bernardino e 2 in via Roma. Si trattava di 3 barbieri, 2 fabbri, 3 falegnami, 4 ciabattini, 3 calzolai, 11 carrettieri, 1 arenaiolo, 2 sarti da uomo, 2 sarte da donna, 1 ricamatrice a mano, 1 magliaia, 1 imbianchino, 1 fabbricante di calze, 1 carpentiere, 1 fumista, 1 lavandaia, 1 canestraio di vimini.
Nella seconda metà del ‘900, nonostante alcune attività fossero scomparse, gli artigiani andarono aumentando, anche per le nuove necessità di produzione e di servizi. Così, oltre a parrucchieri, meccanici, benzinai, falegnami, idraulici, elettricisti, sarti, si insediarono in paese alcune officine (Perani, Conber, Metaltemper), autolavaggi, carrozzerie, autotrasporti, il gommista, lo studio fotografico, la tipografia, il fisioterapista, l’estetista, ecc. Alcune produzioni artigiane erano destinate all’industria (v.), che cominciò ad avere un certo sviluppo anche a livello locale.
Tra le figure di artigiani locali più creative, merita di essere ricordato Franco Perani (1924-2006), che sapeva trovare la soluzione ad ogni problema tecnico che gli veniva sottoposto: creò ad esempio una macchina capace di fare 8 fori in contemporanea su 4 piani diversi per i frontali delle Lambrette e per i ceppi dei freni, le draghe per cavare i sassi e separarli dalla ghiaia nel Mella e nelle cave del territorio, un forno per lavorare e verniciare i lampioni di illuminazione stradale usando una resistenza di costantana (le cui proprietà si scopriranno 30 anni dopo); applicò l'oleodinamica in macchine da lui progettate per la lavorazione dei tubi degli sterzi delle automobili; fra i suoi lavori vi furono anche le bricchettatrici, le caldaie a segatura, i nipples in alluminio per i caloriferi. Lavoratore instancabile e responsabile, offrì opportunità di apprendimento e di lavoro ai giovani che a lui si rivolgevano e si mostrò sempre attento alle necessità della comunità locale.
Alcune attività artigianali locali, soprattutto quelle dell’indotto industriale, hanno poi manifestato la necessità di ampliamento e nel 1982 hanno costituito un Consorzio, che ha realizzato 29 capannoni nella zona di Villa Nuova (v.). Nel 1995 si è trasferita a Roncadelle la FORIT, cooperativa di installatori idraulici. Nel 2011 le imprese artigiane di Roncadelle registrate alla Camera di Commercio di Brescia erano 253, pari al 31% delle imprese locali. Tra i tanti interessanti traguardi raggiunti dagli artigiani locali, è da segnalare il premio conferito alla pasticceria Mascale nel 2023 come artefice del miglior panettone artigianale della Lombardia.
Pur dovendo subire periodiche crisi economiche e una forte concorrenza, le capacità di persone intraprendenti, creative e aperte alle innovazioni hanno saputo mantenere sempre vivo l’artigianato nella comunità locale, grazie anche alla impagabile soddisfazione di fornire prodotti o servizi a misura d’uomo, con un inevitabile riverbero positivo sulla convivenza e il benessere di tutti.