ABITAZIONI
La casa, riparo e rifugio, focolare famigliare, prima scuola di vita; spazio della condivisione, dell’accoglienza, dell’intimità; giardino degli affetti più cari e delle gioie quotidiane; luogo dei primi passi e degli ultimi sospiri. Miraggio di tanti proletari o redditizio investimento, la casa è sempre stata considerata un bene; ma solo da pochi decenni la maggioranza delle famiglie roncadellesi ha realizzato il sogno di una casa in proprietà, a misura delle proprie necessità.
I primi insediamenti stabili sul territorio locale (nel I sec. d.C.) erano costituiti da casupole di argilla, legno e paglia, per lo più abitate da coloni o da schiavi di possidenti cittadini, che andavano distrutte facilmente, anche a causa di incendi casuali. Nel periodo tardo-romano venne forse edificata una domus nella zona nord-occidentale. Il lungo periodo altomedievale non ha lasciato tracce.
Dal sec. XIII anche le abitazioni dei contadini incominciarono ad essere costruite in muratura, almeno nella parte parietale esterna, utilizzando soprattutto i sassi fluviali che abbondavano sul territorio locale e poi anche mattoni di argilla. Possiamo ritenere che l’hospitium (v.) e l’antica cascina di S. Giulina con la relativa chiesetta siano state realizzate sin dall’inizio con pareti in muratura, utilizzando anche materiali di riporto provenienti da edifici precedenti.
L’acquisto dell’hosteria (v.) nel ‘300 e l’erezione del castello (v.) da parte dei Porcellaga (v.) all’inizio del ‘400 costituirono l’avvio di nuove abitazioni sia sull’importante strada degli Orzi che intorno al castello. Costruire in muratura divenne comunque obbligatorio a partire dal 1430-31 per disposizione della città di Brescia, che intendeva così ridurre i frequenti casi di incendio.
A Roncadelle andarono così via via sorgendo le abitazioni e i negozi della Contrada di Sotto, le cascine della Contrada di Sopra, i cascinali di Villanuova, di Antezzate, della Fedriza ed altri insediamenti minori. Come materiali da costruzione si utilizzavano le pietre e la sabbia raccolte sul territorio e nell’alveo del Mella, nonché il legno ricavato dagli alberi della zona, mentre le fornaci locali (v.) fornivano mattoni e coppi in quantità crescente utilizzando i depositi naturali di argilla. Tipiche rimasero invece le abitazioni popolari chiamate “caselle” costruite interamente con argilla grezza. Gli edifici venivano costruiti con muri esterni di largo spessore, che reggevano bene anche l’urto e i pesi del piano superiore.
Si andò così delineando una prima struttura urbanistica, che aveva come riferimenti il nucleo rurale di S. Giulina a nord, l’osteria a sud e il castello al centro; mentre la campagna circostante era presidiata da piccole e grandi costruzioni rurali. La tipologia dei vari edifici era diversa a seconda della loro funzione e rispettava modelli edilizi ormai collaudati da tempo.
Le cascine, abitate da una o più famiglie, andarono assumendo sempre più un aspetto di costruzioni quadrate intorno ad un’aia (éra) generalmente aperta sul lato sud per favorire una migliore esposizione al sole, con casa padronale, abitazioni per i contadini, stalle con volti in pietra o mattoni per isolarle da eventuali incendi, ampi fienili, portici o semplici muraglie; come adiacenze avevano orti e, a volte, un giardino o un brolo. Nella parete rivolta a nord le aperture erano ridotte al minimo (come difesa dal freddo e da eventuali pericoli esterni) e generalmente vi era collocato l’ingresso principale dotato di un portone in legno a doppio battente (munito di grosso catenaccio in ferro battuto), che consentiva il passaggio dei carri agricoli e veniva tenuto rigorosamente chiuso di notte e in caso di minacce esterne.
Le botteghe artigiane e commerciali, sorte nella Contrada di Sotto, erano generalmente a due piani, per lo più precedute da portico, con lo spazio aperto al pubblico al pian terreno e l’abitazione privata al piano superiore o nel retrobottega.
Le abitazioni dei lavoratori dipendenti erano molto modeste, prive di qualsiasi comfort, con arredamento essenziale e scarsa luce: le finestre, senza vetri, venivano riparate da imposte in legno (scür). Ma occorre rilevare che si viveva molto all’aperto e la casa era considerata per lo più un riparo per la notte e per la stagione invernale. La stanza più vissuta era la cucina, generalmente dotata di camino (föc), in cui si preparavano le vivande e intorno al quale ci si riscaldava. Non a caso nei censimenti fiscali, le famiglie venivano chiamate “fuochi”. A volte il camino era in mezzo alla stanza, come nella casa padronale dei Porcellaga a Villa Nuova e poteva essere utilizzato su due fronti. Il secér (secchiaio) raccoglieva l’acqua attinta all’esterno per gli usi domestici.
Di particolare interesse risulta l’edilizia rurale che si andò affermando in quel periodo: più attenta alle nuove esigenze organizzative dell’attività agricola, dovuta anche al coinvolgimento diretto dei possidenti cittadini, che intendevano seguire più da vicino il lavoro dei propri coloni e disporre di una villa di campagna, in cui trascorrere alcuni mesi all’anno “lontano dagli affanni della città in una natura più ospitale”. A determinarne le dimensioni, la struttura e le funzioni dei locali era il tipo e l’estensione dei terreni ad essa legati: per una media proprietà, come era quella delle cascine della Contrada di Sopra, l’edificio aveva dimensioni modeste e funzioni legate principalmente alla raccolta e al deposito; nella grande proprietà, come quella di Antezzate o di Santa Giulia, veniva invece edificato un nucleo residenziale complesso, al cui interno convivevano mezzadri, malghesi e braccianti, diretti e sorvegliati dal proprietario o da un suo fattore. Ogni cascinale era dotato di forno per la panificazione e vi erano anche locali per la conservazione e la lavorazione di prodotti alimentari (vino, salumi, latticini, ecc.).
Nel primo ‘600 venne edificato a Roncadelle, sulla strada per Orzinuovi, il Savoldo (v.), villa di campagna della famiglia Savoldi, piccolo gioiello architettonico con richiami palladiani; preceduta da un brolo, era attorniata da una torre colombaia, una cappella dedicata a Tutti i Santi, abitazioni coloniche, stalla e barchessa.
L’estimo delle Chiusure di Brescia del 1646 fornisce le prime informazioni dettagliate sull’abitato di Roncadelle. La Contrada di Sotto era composta da circa 30 unità immobiliari, quasi tutte a due piani, con nove botteghe artigiane o commerciali; gli edifici di maggior valore della contrada risultano, oltre all’Osteria, la dimora dei Savoldi, le case dei Malgaretto e degli Scabusi (che disponevano anche di piccole fornaci per le loro attività fittili), le abitazioni dei Tabanelli e dei Ghizzoni; i Dusi vi possedevano tre casette e la Confraternita del Ss. Sacramento ne aveva sei, tutte affittate. Nei pressi del castello erano sorte una trentina di abitazioni, tra cui si distinguevano le case dei Trinale, dei Fachera, dei Franzoni, dei Felici, dei Mondini e alcuni edifici di trasformazione, come la fornace e il mulino del castello, dotati di un’abitazione per l’artigiano addetto. Nella Contrada di Sopra vi era una sola bottega, appartenente ai fabbri Andreoli, e una ventina di edifici, per lo più cortivi, allineati lungo il lato sud dell’attuale via S. Bernardino, i maggiori dei quali appartenevano a Francesco Porcellaga e all’Ospedale Maggiore di Brescia; altri edifici di rilievo erano quelli dei Castrini, degli Zoni, dei Verzelletti, dei Conti, dei Quaresmini, mentre sul lato nord della strada vi era solo il locho di S. Giulina con il vecchio mulino e l’antica chiesetta.
All’inizio del ‘700 i Martinengo Colleoni attuarono un riassetto urbanistico nel cuore del paese creando una piazza davanti all’ingresso nord del castello e un largo viale prospettico verso la chiesa parrocchiale, collegando e valorizzando così i due principali edifici di riferimento per la comunità e disegnando le linee del successivo sviluppo urbanistico locale.
Di pari passo con l’aumento della popolazione, si costruivano nuove case o si trasformavano i vecchi spazi edificati. Dalla fine dell’Ottocento, quando a Roncadelle cominciarono ad insediarsi famiglie di operai per le industrie cittadine, si impose sempre più impellente il problema sociale della casa, che venne affrontato solo nel corso del Novecento con la costruzione di case economico-popolari. Il Comune rimase comunque a lungo privo di qualsiasi forma di controllo urbanistico. Alle storiche vie del paese (via di Sotto, via Osteria, via Caselle, via S. Bernardino, via Chiesa) venne modificata l’intitolazione: nel 1905 via Osteria diventò via Municipio e via Caselle divenne via Cismondi; nel 1911 la via di Sotto venne intitolata al re Vittorio Emanuele III; nel 1931 via Cismondi diventò via Roma (in attuazione di una disposizione fascista) e via Municipio divenne via Cismondi; nel 1939 via della Chiesa fu dedicata a Guglielmo Marconi. Queste strade, insieme a via S. Bernardino, vennero asfaltate nel 1950.
Nel 1951 le abitazioni erano 729 (con 2.001 stanze), in ognuna delle quali vivevano mediamente cinque persone. Le abitazioni in proprietà costituivano il 22% del totale. Poche case (9,2%) avevano servizi igienici interni e pochissime (1,3%) erano quelle munite di bagno, mentre l’illuminazione elettrica era estesa quasi dappertutto (93%). Il gas arrivava in molte case distribuito in bombole e il riscaldamento era essenzialmente a legna (stufe o camini). In quel periodo vennero costruiti in via Roma sei appartamenti in attuazione del Piano Case “Fanfani” e decisa la realizzazione di villette bifamiliari (Quartiere XXV aprile) e case monofamiliari, destinate alle famiglie numerose e agli sfollati rimasti a Roncadelle.
Nel 1961 le abitazioni erano 916 (con 2746 stanze); quelle in proprietà (33% del totale) avevano in media 4 stanze, mentre quelle in affitto ne avevano mediamente 2,6. Tutte le case erano ormai fornite di illuminazione elettrica e acqua potabile (da pozzi privati); in aumento quelle dotate di latrina interna (33,6%) e di vasca o doccia (15%); il gas (in bombole) arrivava all’87,5% delle abitazioni, mentre quelle dotate di impianto di riscaldamento erano solo l’1,2%. Molte case erano ornate da un giardino o dotate di un orticello.
Il suolo “consumato” dall’urbanizzazione corrispondeva al 9% del territorio, ma negli anni successivi Roncadelle visse un periodo di grande espansione edilizia. La nuova Amministrazione comunale, guidata dal prof. Gino Sala, approvò il primo Piano di Fabbricazione come strumento urbanistico per regolare l’ampliamento del centro abitato richiesto dal costante aumento demografico. Nel centro urbano sorsero nuove vie: nel 1961 “Cantarane” divenne via Castello, nacquero via Rosa Galbiati, via A. Manzoni, via dei Santi, via IV Novembre, via Vittorio Emanuele II; e nel 1964 le vie Buonarroti, Leopardi e Treccani Chinelli.
Grande rilievo ha avuto in quel periodo l’opera della Cooperativa edilizia “La Famiglia” di Padre Marcolini, che ha realizzato a Roncadelle 186 abitazioni economiche (per lo più villette bifamiliari) in quattro fasi, negli anni 1967-1990. Vennero così inaugurate nel 1968 le vie E. Fermi, G. Galilei e A. Volta, oltre alle vie Alighieri, Leonardo da Vinci, Fratelli Bandiera, Cavour, Mazzini, Giovanni XXIII; e nel 1970 via XX Luglio. Nel 1971 le abitazioni private erano diventate 1.131 (con 4423 stanze); quelle in proprietà raggiunsero il 51%. Nel generale miglioramento delle condizioni economiche e abitative, aumentarono i servizi all’interno di ogni casa. Il gas veniva erogato per il 48% dalla rete di distribuzione comunale; il 71,7% delle abitazioni possedeva un gabinetto interno e il 45,9% un impianto di riscaldamento. E molte abitazioni si dotarono di elettrodomestici. Ma il Comune era ancora privo di acquedotto e di impianto fognario.
Il maggior incremento demografico avvenne durante l’Amministrazione Tobanelli (1973-92), che dotò il Comune di acquedotto e rete fognaria e di un nuovo Piano Regolatore Generale nel 1986. In due decenni la popolazione di Roncadelle passò da 4.400 abitanti ad oltre 7.000. Questa “esplosione” comportò una consistente urbanizzazione di territorio, ma si realizzarono anche grandi parchi pubblici comunali. Le abitazioni private nel 1991 erano diventate 2.417, di cui il 75% in proprietà. Erano quasi tutte collegate alla rete fognaria e all’acquedotto; e munite di gabinetto interno, bagno e impianto di riscaldamento. La cooperativa edilizia “Caduti Piazza Loggia” realizzò, con il sostegno del Comune, un grande complesso di 125 appartamenti. E tra il 1976 e il 1988 furono inaugurate 40 nuove vie urbane. Nel 2001 a Roncadelle vi erano 7.625 abitanti (2.893 famiglie) in 3.090 abitazioni (994 edifici). Il consumo di suolo (tra aree edificabili e pubbliche) aveva superato il 30% del territorio comunale. Nel 2011 le abitazioni sono diventate 3.721 per una popolazione di 9.300 abitanti.
La posizione geografica di Roncadelle, molto vicina alla città, ha fatto lievitare la richiesta abitativa e i prezzi delle case. Inoltre, la costruzione di nuovi edifici ha comportato, negli ultimi decenni, crescenti obblighi di legge e aumenti di costi per dotare le abitazioni di maggiore sicurezza e comodità. Per dare la possibilità a tutti di acquistare casa, le Amministrazioni comunali si sono attivate per cercare di calmierare il mercato edilizio riservando una parte delle nuove aree residenziali all’edilizia economica popolare (PEEP) o convenzionata, che ha raggiunto la considerevole quota di circa mille appartamenti (compresi quelli ALER).
Inoltre, le ultime Amministrazioni comunali, negli aggiornamenti del P.R.G. e nell’elaborazione del nuovo P.G.T. (2010), si sono impegnate ad adottare politiche di gestione del territorio che privilegiassero il recupero e la riqualificazione delle aree già urbanizzate, sia per fornire servizi adeguati agli abitanti attuali e futuri, sia per frenare il consumo di suolo, che aveva raggiunto un livello tra i più alti e allarmanti della provincia, con conseguenze negative per l’ambiente e la qualità della vita degli abitanti (v.).